mercoledì 16 ottobre 2013

Fukuyama: La fine della storia.

 di Carlo Porta

Francis Fukuyama
Nell’estate del 1989 esce su "The National Interest" un articolo di Francis Fukuyama che fa discutere a lungo. L’intervento viene seguito tre anni dopo da un libro che ne sviluppa le tesi. A partire da una riflessione sui fatti del 1989 (e non solo), lo studioso americano di origine giapponese sostiene che:
  1. negli ultimi anni in moltissimi paesi emerge il consenso sul fatto che la democrazia liberale è il migliore sistema di governo possibile. "Dall’America Latina all’Europa orientale, dall’Unione sovietica al Medio Oriente ed all’Asia, negli ultimi tre decenni i regimi autoritari non hanno più retto" (Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, 1996, p. 11) [
  2. spesso una evoluzione economica apportatrice di prosperità secondo i principi del libero mercato precede o segue l’evoluzione politica;
  3. la democrazia liberale può costituire "il punto di arrivo dell’evoluzione ideologica dell’umanità" e la "definitiva forma di governo tra gli uomini". Quest’ultima va intesa come "la sola aspirazione politica coerente per regioni e culture diverse dell’intero pianeta" (Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, 1996, p. 11). Essa sembra immune dai difetti e dalle contraddizioni di altre forme di governo, come la monarchia ereditaria, il fascismo e il comunismo;
  4. la superiorità della democrazia sta nel fatto che essa garantisce all’uomo ciò che egli più desidera: venir riconosciuto da altri esseri umani come qualcuno che ha un valore incommensurabile, come portatore di una dignità che lo accomuna a tutti gli altri uomini. Qui Fukuyama cita più volte la Fenomenologia dello spirito di Hegel a proposito della lotta per il riconoscimento nella dialettica servo-padrone;
  5. anche la democrazia liberale ha dei problemi, ma si tratta di difetti pratici relativi alla insufficiente attuazione dei suoi ideali di libertà e uguaglianza risolvibili all’interno del sistema, non di contraddizioni teoriche;
  6. la vittoria della democrazia liberale costituisce in un certo senso la "fine della storia": non nel senso che non vi saranno più avvenimenti (e nemmeno che tutti i paesi passeranno in breve tempo alla democrazia), ma in quello che non vi sarà più tensione verso un ideale politico migliore, che non vi saranno più progressi per quanto riguarda i principi e le istituzioni fondamentali. Persino i non democratici sono costretti a parlare - sia pur ingannevolmente - il linguaggio della democrazia*;
  7. storia nel senso di Fukuyama va intesa nell’accezione datagli dal filosofo Hegel, ossia come "processo evolutivo unico e coerente" che abbraccia le esperienze di tutti i popoli in tutti i tempi;
  8. questo processo porta verso una crescente omogeneizzazione delle società umane, a prescindere dalle loro origini storiche ed eredità culturali;
  9. questo processo porta anche a una sostanziale pacificazione delle relazioni politiche e allo stabilirsi di un Nuovo Ordine Mondiale: l’esperienza ci mostra che le democrazie liberali non si fanno guerra tra loro. Qui Fukuyama trova una conferma delle tesi del saggio di Kant su La pace perpetua;
  10. la competizione internazionale si sposta sul piano economico: i conflitti si combatteranno in campi come la conquista dei mercati, o l'innovazione tecnologica.
(Francis Fukuyama, The End of History?, "The National Interest", n. 16, pp. 3-18. Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, 1996)

* La democrazia illiberale
Su 193 paesi dell’ONU si annoverano nel 1998 ben 118 democrazie, che ospitano il 54,8% della popolazione mondiale.
Ma è "vera gloria"? Fareed Zakaria, caporedattore di "Foreign Affairs", rileva la nascita di forme di "democrazia illiberale" che sfuggono ai canoni consueti nella vita politica occidentale. I presidenti eletti approfittano spesso e volentieri del mandato elettorale per imbrigliare la stampa e la televisione, limitare la libertà di parola, porre ostacoli alla libertà di azione dei partiti di opposizione, violare o abrogare la Costituzione, sciogliere parlamenti riottosi.
In simili contesti le elezioni, pur formalmente libere, si riducono a ratificare il possesso del potere da parte dell’uomo forte. Per Zakaria almeno metà delle sedicenti democrazie sono in realtà "democrazie illiberali": tra queste Malaysia, Singapore, Corea del Sud, Taiwan, Thailandia, Bielorussia, Perù, Slovacchia, Sierra Leone, Venezuela, Algeria, Pakistan, Palestina.
In molti stati del pianeta (soprattutto in Asia e in Africa) la democrazia è identificata come un rapporto diretto tra il leader e il suo popolo, che si esprime in forme plebiscitarie e tendenzialmente al di fuori dalla mediazione di partiti e parlamenti.
(Gianni Riotta, Democrazia. Troppi paesi a libertà vigilata, "Corriere della Sera", 22 gennaio 1998)

Nessun commento:

Posta un commento

Gli interventi sono moderati.
Sono graditi suggerimenti, critiche e osservazioni.
Gli interventi irrispettosi ed offensivi verrano moderati.