mercoledì 23 ottobre 2013

Maggioranza e opposizione.

di Piero Calamandrei
 
Piero Calamandrei
« La libertà è come l'aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare » (Piero Calamandrei

Questa riflessione di Calamandrei fatta al tempo del primo parlamento della Repubblica, a quasi sessant'anni di distanza è ancora attuale ai nostri giorni e vale tanto per il più importante organo rappresentativo dei cittadini italiani quanto per il più piccolo consiglio comunale. (Enzo)

Per far funzionare un parlamento, bisogna essere in due, una maggioranza e una opposizione. La maggioranza, affinché il parlamento funzioni a dovere, bisogna che sia una libera intesa di uomini pensanti, tenuti insieme da ragio¬nate convinzioni, non solo tolleranti, ma desiderosi della discussione e pronti a rifare alla fine di ogni giorno il loro esame di coscienza, per verificare se le ragioni sulle quali fino a ieri si son trovati d'accordo continuino a resistere di fronte alle confutazioni degli oppositori. 

La maggioranza? Una libera intesa di uomini pensanti
Per far funzionare un parlamento, bisogna essere in due, una maggioranza e una opposizione. Ma non nel senso gastronomico in cui quel ghiottone che fu Iarro soleva dire che «per mangiare un tacchino bisogna essere in due: io e il tacchino»; questa ricetta da buongustaio non vale per il parlamento, dove la maggioranza non deve essere un ventricolo pronto a trangugiare l'opposizione, né un pugno per strangolarla, né un piede per schiacciarla come si schiaccia un tafano sotto il tallone.
      La maggioranza, affinché il parlamento funzioni a dovere, bisogna che sia una libera intesa di uomini pensanti, tenuti insieme da ragionate convinzioni, non solo tolleranti, ma desiderosi della discussione e pronti a rifare alla fine di ogni giorno il loro esame di coscienza, per verificare se le ragioni sulle quali fino a ieri si son trovati d'accordo continuino a resistere di fronte alle confutazioni degli oppositori. Se la maggioranza si crede infallibile solo perché ha per sé l'argomento schiacciante del numero e pensa che basti l'aritmetica a darle il diritto di seppellire l'opposizione sotto la pietra tombale del voto con accompagnamento funebre di ululati, questa non è più una maggioranza parlamentare, ma si avvia a diventare una pia congregazione, se non addirittura una società corale, del tipo di quella che durante il fatidi¬co ventennio dava i suoi concerti nell'aula di Montecitorio.
      Chi dice che la maggioranza ha sempre ragione, dice una frase di cattivo augurio, che solleva intorno lugubri risonanze; il regime parlamentare, a volerlo definire con una formula, non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza.
L’opposizione? Una forza propulsiva del Parlamento
Ma anche l'opposizione, se si vuol che il parlamento funzioni, non deve mai perdere la fede nella utilità delle discussioni e nella possibilità che hanno gli uomini, anche uno contro cento, di persuadersi tra loro col ragionamento (che è qualcosa di diverso dalle vociferazioni e dalle invettive). Anche se ridotta a un esiguo drap¬pello di pochi isolati, l'opposizione deve esser convinta di poter prima o poi, colla ostinata fede nella bontà delle proprie ragioni, disgregar la maggioranza e trascinarla con sé; e deve guardarsi dal complesso di inferiorità consistente nel credere che restar fuori dal governo voglia dire esser fuori dal parlamento o ai margini di esso, quasi in esilio o in penitenza.
      In realtà, se la opposizione intende l'importanza istituzionale della sua funzione, essa deve sentirsi sempre il centro vivo del parlamento, la sua forza propulsiva e rinnovatrice, lo stimolo che dà senso di responsabilità e dignità politica alla maggioranza che governa: un governo parlamentare non ha infatti altro titolo di legittimità fuor di quello che gli deriva dal superare giorno per giorno pazientemente i contrasti dell'opposizione, come avviene del volo aereo, che ha bisogno per reggersi della resistenza dell'aria.
      Si dirà che questo idilliaco quadro del governo parlamentare pecca di ingenuo ottimismo. E sia pure. Ma insomma, chi vuol sul serio il sistema parlamentare, non può concepirlo che così: altrimenti del parlamento resta soltanto il nome sotto il quale può anche rinascere di fatto la Camera dei fasci e delle corporazioni.
Quel che manca è un terreno comune di discussione
Ora, a guardar le prime prove date dal nuovo parlamento italiano, ci sarebbe da credere che in questa camera (parlo specialmente della camera dei deputati) gli elementi indispensabili del sistema parlamentare, una maggioranza e una opposizione, manchino purtroppo tutt'e due. Certo, a guardare al numero, una maggioranza c'è: e come plumbea e massiccia! E in quanto all'opposizione, se per costituirla bastassero i clamori, anche i sordi si accorgerebbero che l'opposizione non tace.
     Ma quel che manca per ora tra queste due quantità contrapposte è un terreno comune di discussione, sul quale possa svolgersi quella dialettica di ragionati contrasti che è già, nelle lotte parlamentari, un modo di solidarietà e di collaborazione. Affinché dall'incontro della tesi coli'antitesi venga fuori la sintesi, ossia, per parlar più semplice, affinché dalle discussioni tra due contraddittori venga fuori una soluzione intermedia che abbia qualche costrutto pratico, occorre prima di tutto che tutt'e due cerchino di capirsi, cioè di capire almeno quali sono i punti del loro dissidio ma in questo parlamento sembra proprio, finora, che i due antagonisti facciano di tutto per non capirsi, per non incontrarsi se non in veri e propri incontri di natura pugilistica; l'opposizione non fa nulla per farsi ascoltare, la maggioranza si rifiuta energicamente di stare ad ascoltare l'opposizione. Vanno avanti, gli uni e gli altri, per proprio conto, su due diversi piani, sui quali non avranno mai l'occasione di imbattersi e di guardarsi in faccia.
Un livello qualitativo assai più scadente
Non c'è dubbio che il livello qualitativo della nuova camera è molto più scadente di quello dell'assemblea costituente. I migliori componenti di questa, i parlamentari più vecchi e più autorevoli, ed anche quei pochi uomini politici nuovi che si erano distinti nelle commissioni della costituzione, sono passati al senato, o sono rimasti soccombenti nelle elezioni.
Il difetto fondamentale del sistema proporzionale, che è quello di portare in parlamento non uomini qualificati per i loro meriti individuali, ma pedine di un partito (tantoché talvolta ci si domanda perché le sedute parlamentari non si riducano per semplicità a riunioni dei soli capigruppo, ognuno dei quali si porti in tasca per le votazioni tante palline quanti sono i deputati ai suoi ordini), è stato aggravato, nell'interno delle liste di partito, da quell'infido congegno di selezione a rovescio che è il giuoco delle preferenze: in grazia del quale, in ciascuna lista, vengono a galla i più intriganti a scapito dei più meritevoli, che sono sempre i più discreti e i meno disposti all'intrigo. […]
     E tuttavia, anche a non voler vedere la situazione in luce drammatica, certo è questo: che per ora, in questa camera, una opposizione parlamentare non c'è; che per ora manca, in questo parlamento, quella dialettica di ragionati contrasti, che è lo stimolo vitale .di ogni regime democratico.
     Bisogna che, questa opposizione parlamentare nasca, se si vuole che il parlamento viva: sull'abisso scavato tra queste due intransigenze bisogna che questo ponte sia lanciato al più presto.
     Questo compito di ricondurre l'opposizione alla sua serena e costruttiva funzione parlamentare non può spettare che al socialismo. Ma esiste oggi nel parlamento una opposizione socialista. Non certamente quella dei socialisti del Fronte; le cui voci, anche, in parlamento, non riescono ormai più a distinguersi, perfino nei gesti e nelle inflessioni oratorie, da quelle dei comunisti (era corsa perfino la notizia che molti di essi, sacrificati nella lotta elettorale dal giuoco delle preferenze manovrato dai comunisti, avrebbero accettato con gratitudine dai comunisti la graziosa elargizione di qualche seggio parlamentare, disposti, pur di entrare a Montecitorio, ad assumervi, invece che la funzione di rappresentanti della nazione, quella di sostituti dei benèfici comunisti dimissionari...). Ma neanche quella dei socialisti al governo; perché non si può sedere sulle poltrone del governo, sia pure in funzione di stimolatori, e contemporaneamente parlare, con autorità dai banchi dell'opposizione.

PIERO CALAMANDREI


testo editato in  Oltre la guerra fredda, L’Italia del “Ponte” (1948-1953) a cura di Mimmo Franzinelli
Editori Laterza - 2010


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