mercoledì 4 marzo 2009

Sergio Panunzio ovvero "Una vocazione sindacale"


Il Conservatore
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I PERCORSI CULTURALI DELLA DESTRA PESTANA
presenta

Sergio Panunzio

"Una vocazione sindacale"




Sergio Panunzio (1886 - 1944) nell'ambito del sindacalismo rivoluzionario ha incarnato l'anima giuridica del movimento, offrendo ad esso la concretezza delle sue tesi e configurandolo come un momento della complessiva crescita della società civile italiana.
Del resto è così che Panunzio fin dal suo primo affacciarsi al mondo della politica aveva inteso il socialismo che, ricco di speranze e di fervori innovativi, si presentava al giovane studioso ancora impregnato di amori risorgimentali e teso - grazie anche alle sensibilità culturali proprie della sua famiglia - alla conoscenza del nuovo che nel campo intellettuale europeo si muoveva. Il grande travaglio che caratterizzava la vita del socialismo italiano appena costituitosi in partito politico attrasse Panunzio al punto di fargli prendere parte alla lotta che nel suo seno si sviluppavano.
Non differentemente da altri suoi coetanei, Panunzio aderì al Partito Socialista un po' per vocazione un po' seguendo l'esempio dei suoi maestri universitari, secondo uno schema che molto bene Roberto Michelis riprodusse: Più ancora però che da mosse di reazione scientifica o di opposizione morale contro professori conservatori, molti studenti vennero spinti ad unirsi al partito operaio per opera delle idee socialiste professate da molti altri professori universitari. Negli istituti superiori si formarono attorno ai docenti socialisti delle vere scuole, guardie del corpo dei professori, che spesso diventavano poi guardie del corpo del partito .
Tra le varie componenti in lotta nel Partito socialista, Panunzio si schierò con il gruppo dei sindacalisti rivoluzionari e cominciò a scrivere sul settimanale di Arturo Labriola, Avanguardia socialista . A Napoli, frequentando la facoltà di giurisprudenza, la sua coscienza rivoluzionaria si dilatò maggiormente a contatto con docenti come Francesco Saverio Nitti, Napoleone Colajanni, Igino Petrone, Giuseppe Salvioli e soprattutto Giorgio Arcoleo con il quale diede la tesi di laurea nel 1908 su "L'aristocrazia sociale", cioè i sindacati.

Giurista, politologo, giornalista, uomo politico, Panunzio ha lasciato nei suoi trentatré volumi e nelle centinaia di contributi polemici e scientifici, sparsi su giornali e riviste, la traccia di un'epoca caratterizzata da un dibattito fecondo sulle nuove ragioni dello Stato e dell'uomo a fronte di una tremenda crisi, spirituale ed economica, originata dal mutamento accelerato dei tempi e dall'emergere sulla scena sociale di nuove soggettività politiche. Agli inediti bisogni affioranti nella società italiana agli albori di questo secolo, Panunzio cercò di dare risposte organiche e convincenti fuggendo la lusinga delle asettiche formulazioni meramente scientifiche: la capacità che aveva di immergersi totalmente nei problemi concreti è testimoniata nelle pagine lucide e vibranti ad un tempo delle prime opere giovanili dedicate a quel mondo ricco umori, avventure e speranze che era il socialismo italiano. Ma non è nell'ambito del solidarismo o del riformismo che Panunzio occupa una posizione preminente e particolare. E' nel crogiuolo fecondo del sindacalismo prima e nella sistemazione della dottrina dello Stato fascista poi che lo studioso di Molfetta ha un posto tutto suo, e di certo fra i più elevati.
In entrambi i campi l'importanza di Panunzio si spiega per due ordini di ragioni. In primo luogo perché è stato lo studioso che con maggiore vigore e concretezza ha posto al centro della sua riflessione giuridico-politica il problema del ruolo che sindacato avrebbe dovuto svolgere in seno allo Stato; ed in secondo luogo perché per primo ha sostenuto l'idea che il sindacato nello Stato moderno doveva diventare l'organo fondamentale di rappresentanza e di sovranità politica. Il suo primo impegnativo studio, pubblicato nel 1917, Il socialismo giuridico, è riassuntivo della concezione sindacale di Panunzio. Egli, infatti, teorizza l'opposizione alla borghesia solidarista ed al sindacato riformista del sindacato operaio destinato a trasformare radicalmente la società. L'originalità di Pannunzio consiste, in questa prima fase, nella considerazione personalissima che ha della società economica la quale non ha nulla a che vedere con la considerazione che ne ha, per esempio, il marxismo.
In tutti gli scritti apparsi fra il 1905 ed il 1907, soprattutto sul Divenire sociale di Leone, Panunzio sostiene che la società economica e anche una società politica e giuridica. I tre elementi costitutivi della società sono inscindibili: la separazione di uno solo di essi comporta l'impossibilità di comprendere la società globalmente, nella sua effettuale realtà.

Pannunzio dimostra fin da giovanissimo, dunque, di possedere una mentalità organicistica della quale darà prova soprattutto negli esiti teorici più consapevoli della maturità. In questo contesto, quindi, il sindacato, come momento organizzativo della società, non può essere considerato soltanto un organo economico: esso è formato da uomini con una comune volontà, una consonanza spirituale, un identico modo di sentire, una coesione mentale che indirizzano l'azione del sindacato nella società. In questa prima fase Panunzio viene a trovarsi contro il diritto vigente tanto da parlare, qua e là, di un diritto sindacale, non meglio precisato,da usare nei confronti del diritto dello Stato borghese e liberale. Affiorano anche, ogni tanto, delle proposte vagamente anarchiche, frutto evidentemente delle lusinghe esercitate sul pensiero di Panunzio dal socialismo rivoluzionario di Georges Sorel. Convinto che il sindacato per esplicare efficacemente la propria azione e senza tradire le proprie origini deve porsi radicalmente contro lo Stato - lo Stato liberale, naturalmente - per contemperare le istanze sociali ed il principio di autorità, fortemente avvertito, Panunzio cercò di coinvolgerlo in una prospettiva statuale diversa da quella del suo tempo. Attestandosi la riflessione di Panunzio sul fondamento non economico, ma giuridico e politico innanzitutto del sindacalismo, il passo nel senso di una critica serrata al marxismo fu naturale per il giovane studioso. Polemizzando in alcuni scritti, tra il 1908 ed il 1910, con i socialisti rilevò come il marxismo da "teoria rivoluzionaria" del proletariato avesse smarrito la sua autonomia "per confondersi da ultimo con la sociologia ufficiale" . E' nella critica al marxismo la ragione principale del rifiuto del socialismo così come s'era andato configurando in Italia da parte di Panunzio e la ricerca conseguente di un recupero della dimensione rivoluzionaria del movimento operaio. Se con Il socialismo giuridico lo studioso aveva posto il problema della necessità di formulare un diritto operaio come sostanziale prassi morale , nel saggio successivo, La persistenza del diritto, egli sgombrava il campo dagli equivoci segnando una chiara linea di demarcazione tra sindacalismo ed anarchismo. Panunzio asseriva che il sindacalismo, a differenza dell'anarchismo, pur negando lo Stato non nega l'autorità. Il sindacalismo - scrive - è d'accordo con l'anarchia nella critica e nella tendenza distruttiva dello Stato politico attuale, ma non porta alle ultime conseguenze le sue premesse antiauritarie, che hanno un riferimento tutto contingente allo Stato presente. Il sindacalismo, per essere precisi, è antistatale per definizione e consenso unanime, ma non è antiauritario. Le premesse antiauritarie dell'anarchia hanno invece un valore assoluto e perentorio riferendosi esse ad ogni forma di organizzazione sociale e politica. Il sindacalismo non è dunque antiauritario .l'autorità per Panunzio era un dato sociologico, determinato da un gruppo sociale in formazione. Il sindacato in quanto gruppo aveva una sua autorità e produceva il diritto operaio autonomamente. Questo diritto - scriveva Panunzio - nascente fuori e contro il diritto dello Stato, sta nel sindacato operaio di mestiere, il quale è una nuova formazione storica, sociale e psicologica, oltre che a un nuovo organo economico e tecnico della produzione dei beni. Questo diritto, deve anzi mantenersi rigidamente ed esclusivamente entro gli stretti limiti del sindacato, non deve avere nessuna confluenza e interferenza con il diritto dello Stato e del …parlamento borghese, ma deve mantenersi un prodotto distinto, genuino, spontaneo, esclusivo e autonomo del Sindacato, nel quale deve organicamente differenziarsi, integrarsi e individuarsi secondo le leggi socio-psicologiche del suo sviluppo interiore, fino a fissarsi in norma giuridica positiva coattiva e obbligatoria . Per questa via Panunzio perviene a porsi il problema cruciale del suo tempo, quello della rappresentanza politica. Al pari di altri sindacalisti rivoluzionari, in particolare Alceste De Ambris e Filippo Corridoni, Panunzio sosteneva la necessità di abbattere la monarchia ed instaurare una forma di repubblica federale nella quale i sindacati sarebbero stati adeguatamente rappresentati. Del resto, considerando il sindacato come un soggetto autonomo in grado di produrre politica e diritto era assolutamente coerente Panunzio nel presentarlo come rappresentativo dei corpi reali della società civile. La necessità del regime rappresentativo , contrapposto al regime diretto per Panunzio scaturiva dalla constatazione che nelle società complesse lo strumento della democrazia parlamentare era assolutamente da ritenersi inadeguato. Siamo ai preludi corporativi. Il prefascismo di Panunzio è tutto qui. E da qui egli prende le mosse - passando attraverso l'evento bellico - per capovolgere in sindacalismo nazionale il sindacalismo rivoluzionario. La rappresentanza operaia - e più tardi dirà rappresentanza di tutte le categorie - secondo Panunzio non è altro che il prolungamento nel Parlamento dell'azione diretta sindacale (…). Ogni interesse specifico può essere direttamente rappresentato, quando la difesa contro lo Stato è necessaria, ed è uopo muoverla fuori (azione propriamente diretta) e dentro di esso. In questo modo l'azione parlamentare non è altro che un prolungamento e una integrazione dell'azione diretta . In pratica, Panunzio giudicando il sistema parlamentare obsoleto ed inadeguato a rappresentare le istanze dei nuovi gruppi che s'andavano formando e manifestando nella società, mirava - come ha scritto J. Gregor - alla restaurazione di quella che egli considerava la "naturale" autonomia di gruppo, con l'effettivo autogoverno dei sindacati dei lavoratori, nati da poco, i quali erano i precursori di un nuovo sistema sociale. Egli prevedeva che i sindacati della classe operaia avrebbero costituito le componenti spontanee e organizzate indipendentemente da un nuovo ordine sociale decentralizzato, retto da convenzioni legali collettive che avrebbero riflesso il sentimento vero e reale degli interessi sentiti da parte della classe operaia. Egli prevedeva il declino dello Stato organizzato politicamente e la sua sostituzione mediante la rivoluzione violenta; lo Stato nazionale si sarebbe dissolto in combinazioni volontarie di sindacati organizzati spontaneamente, la cui associazione non sarebbe stata conseguenza di leggi imposte, tra il riflesso di necessità reali, concrete e complesse dell'industria moderna . Il volontarismo di Panunzio è fondato sulle teorie psicologiche di Wundt: " Dobbiamo dichiararlo esplicitamente e recisamente: noi siamo dei convinti e fervidi sostenitori della volontà (…). Noi sosteniamo che unica è la sorgente del Diritto, sia pubblico che privato: la volontà; e che il Contratto sia nel diritto pubblico che nel diritto privato moderno è la forma principale e tipica onde il diritto materiale si attua, e che la stessa legge, che è l'espressione più imperativa del Potere, è anche oggi un contratto - come lo era in diritto romano ai tempi gloriosi del diritto repubblicano ".


Sergio Panunzio, il sentimento dello Stato

Le tematiche relative alla rappresentanza ed all'autonomia dei sindacati vennero maggiormente ribadite da Panunzio nel volume Sindacalismo e Medio Evo; raccolta di saggi dal forte sapore polemico nei quali lo studioso rivoluzionava il Medio Evo come epoca caratterizzata dal "risveglio" delle energie sociali e dall' "autonomia" delle strutture rappresentative. Nello stesso tempo Panunzio riaffermava che i sindacati avrebbero smembrato l'unità dello Stato preparando l'avvento di un sistema fondato sul particolarismo, politico e sociale come al tempo dei Comuni medioevali. Gregor ha così riassunto la posizione di Panunzio, che aveva messo insieme un sistema d'idee " che era anti- individualista, fondato come era sulla convinzione che i veri componenti della storia umana fossero gli uomini organizzati in associazioni governate da leggi; giurisdizionale, in quanto riteneva la comunità umane regolate e rese veramente umane dal dominio e dalla continuità della legge formale ed informale e della sua autorità; elitista, nel senso che riteneva che gli uomini in associazione fossero guidati da individui scelti dalla loro comunità, capaci di impiegare mito e simboli per sostenere un governo efficiente ed autoritario; e, infine, libertario, in quanto riteneva che i sentimenti, che mito e simboli fossero spontanei e naturali e derivassero da necessità reali e concrete e non immaginarie".

Naturalmente Panunzio si poneva anche il problema dello strumento che avrebbe dovuto attuare le sue idee. Scartata l'ipotesi di ridare fiducia al partito socialista ormai perduto nel riformismo più piatto e la sua classe dirigente imborghesitasi oltre ogni immaginazione, lo studioso pugliese vagheggiava la costituzione di un "partito politico rivoluzionario" del quale avrebbero dovuto far parte socialisti non riformisti, repubblicani e anarchici a condizione che accettassero l'organizzazione autonoma dei sindacati, lo sciopero, l'espropriazione del capitale, l'abolizione del salario, la produzione diretta, autonoma, libera, concorrenziale dei sindacati gestori e usufruttuari dei mezzi di lavoro, la repubblica federale, l'antiparlamentarismo, l'antimilitarismo, l'odio per la monarchia. Da queste posizioni, condivise largamente negli ambienti del sindacalismo rivoluzionario, l'approdo al sindacalismo nazionale non fu semplice per Panunzio. Il passaggio attraverso la guerra, sulla base della lezione soreliana, fu decisivo. Essa, come ha sottolineato Leonardo Paloscia, "era necessaria perché rappresentava il primo atto della rivoluzione che avrebbe avuto profonde conseguenze politiche, scotendo dalle viscere le istituzioni esistenti, per sradicare e trasformarle". L'esperienza della guerra portò Panunzio a considerare che mentre la patria unisce, l'economia e le classi dividono. Lo studioso si rese conto che la nazione è la sintesi di tutti gli interessi dei gruppi sociali, è una forma " organica, concreta, storica di società": è necessario dunque, che sindacato e nazione si integrino. La guerra, dopotutto, ha dimostrato che il sentimento della nazione può vivere nelle classi: Corridoni lo ha testimoniato con il sacrificio finale; importante è che le classi si organizzino e vivano nella nazione. E' questa visione che condusse Panunzio a diventare il grande teorico del sindacalismo nazionale, espressione della solidarietà di tutte le classi nell'interesse superiore della nazione. Lo Stato fascista realizzerà in parte i progetti di Panunzio. Fondato sulla "sintesi corporativa", lo studioso lo considerò come un vero e proprio Stato sindacale, dal momento che esso non solo non escludeva e non scioglieva i sindacati, "ma li faceva anzi non suoi e si assideva sopra di essi, si porgeva come uno Stato, e non ancora in atto di sindacati, e quindi come Stato Sindacale Nazionale; e siccome lo Stato, sia pure lo Stato fascista, è Stato in quanto è universale, non particolare, di tutti, non di una parte, ne veniva l'estensione e l'universalizzazione, sotto forma de jure, del Sindacato obbligatorio e dei sindacati fascisti a tutti i cittadini italiani". La riflessione di Panunzio sul principio di autorità e sulla <<>> del diritto non poteva che fargli teorizzare (trascorso il momento meramente polemico dell'anti - statalismo, rivolto alla concezione borghese dello Stato) uno Stato sindacale forte quale espressione di una nuova classe politica, il cui compito primario è l'instaurazione di un nuovo ordine costituzionale che rispecchi l'organicità sociale. Nel volume Il sentimento dello Stato (1929) Panunzio si rivela singolare anticipatore anche dell'odierno dibattito sui nuovi "soggetti della politica". Egli afferma che non si può sentire lo Stato senza " sentire" le comunità minori che conducono dall'individuo allo Stato stesso. "Solo può sentire lo Stato in grande - scrive Panunzio - , che è la forma più alta della comunità morale, l'uomo che è educato a vivere socialmente fin dalla nascita nelle comunità morali minori, dalla famiglia al comune, all'associazione professionale e a tutte le diverse forme di associazione". Aggiungendo poco oltre: "Come si può passare d'un colpo, quasi per generazione spontanea, dalla vita statuale saltando tutti i gradi e gli anelli intermedi della società, attraverso i quali si effettua l'educazione e la socializzazione, progressiva dell'uomo? ". Lo Stato, risponde in sostanza Panunzio, deve divenire una realtà onnicomprensiva di tutti gli istituti politici e sociali senza distruggere alcuno. Sono questi nuovi soggetti politici,queste comunità minori, che, secondo Panunzio devono formare l'ossatura, la struttura del nuovo Stato, dal momento che lo Stato dei partiti, voluto dalla borghesia, non rappresenta più nessuno e soprattutto è incapace di iniziativa politica. Sindacalismo e parlamentarismo (inteso in senso "classico" ) non possono andare d'accordo: Panunzio definisce il primo come l'antidoto al secondo ed il fascismo, avendo dichiarato la fine del regime parlamentare, non può che mettersi sulla strada di un sindacalismo statuale ed organizzare la rappresentanza politica in maniera totalmente nuova. Nelle opere "Che cos'è il fascismo", "Lo Stato fascista", "Teoria generale dello Stato fascista", Panunzio tenta di dare una definizione teorica del fascismo deducibile dalla sua dottrina e dalle origini storiche. Lo studioso ritiene che l'intrinseca caratteristica del movimento mussoliniano è quella di essere un " grande fatto di restaurazione" (Teoria generale, p. 12). Con questo vuol dire che nel fascismo sono presenti aspetti inscindibili che a volerli considerare separatamente significa perdere la vista la globalità del problema e ridurre il fascismo a fenomeno esclusivamente "conservatore" e "rivoluzionario". Nel fascismo vi è, invece, " il vecchio e il nuovo", perché la storia non è la fossilizzazione del passato, né la distruzione completa di tutto ciò che preesiste. Per Panunzio, dunque, il fascismo "è un grande fatto storico di conservazione rivoluzionaria" ed esso, memore delle riflessioni di un grande scrittore politico italiano discendente da Vico, Vincenzo Cuoco, non intende e non ha inteso comportarsi nelle sue creazioni e realizzazioni rivoluzionarie come la Rivoluzione francese da un lato e la Rivoluzione russa dall'altro, che hanno creduto di poter edificare il nuovo secondo modelli razionalistici geometrici ed astratti, distruggendo con colpi di penna e di decreti, e di brutale violenza, il passato (Teoria generale, p. 13).

Lo Stato fascista, come Stato nuovo, contrapposto cioè a quello precedente, deve essere considerato sotto due aspetti: sotto l'aspetto della restaurazione politica dello Stato; sotto l'aspetto della instaurazione sociale. Panunzio vuol dire in questo modo che lo Stato fascista conserva, rafforza e riavvalora lo Stato distrutto idealmente e materialmente dal socialismo e dal liberalismo; ma anche innova rivoluzionariamente instaurando l'ordine etico e giuridico del lavoro, cioè l'ordinamento corporativo dello Stato. in questo senso lo Stato fascista è "nuovo", e la novità a maggior ragione gli deriva anche dal fatto - connesso alle premesse - che in esso sono presenti tutti gli elementi dello Stato moderno, potenziati al massimo, vale a dire: il popolo, il territorio, la potestà d'impero. "Ora questi tre elementi - scrive Panunzio nell'opera citata da ultimo - che non sono solamente tre "elementi" giuridici e formali, ma i veri tre "capisaldi" essenziali dello Stato, caduti i quali lo Stato più non sussiste, furono tutti e tre aggrediti e quasi demoliti, nel periodo storico del quale siamo usciti, della crisi dello Stato: in quanto che al popolo si oppose la classe, dal Classismo; al territorio la circoscrizione professionale, dal Sindacalismo e dal Federalismo; e alla podestà d'impero la gestione economica, dal Socialismo. Questi tre capisaldi tradizionali dello Stato che non si potevano impunemente toccare, rimangono immutati e vengono invece restaurati dallo Stato fascista. Ma questo non si ferma al ricordo e al venerabile ossequio del passato; ma procede oltre, aggiungendo ai tradizionali tre elementi quello che io altrove ho chiamato il quarto elemento o la quarta dimensione dello Stato: l'ordinamento giuridico della produzione e del lavoro, ovverosia, l'ordinamento sindacale e corporativo. Lo Stato, così, vero organismo ideale, cresce in sé stesso internamente, innestando sul suo vecchio, robusto tronco nuovi rami e novella vita". Ritorna così, anche per questa via - quasi per una sorta di fedeltà alle origini - , il problema sindacale visto da Panunzio sia nel quadro dell'esperienza fascista che come valore politico assoluto. Pertanto, sindacalismo e corporativismo rappresentano per Panunzio l'uno il punto di partenza e l'altro il punto d'arrivo. I sindacati - afferma lo studioso pugliese - sono ciechi senza la corporazione e così le corporazioni sono vuote senza i sindacati. Il sindacalismo è dunque per Panunzio il fatto centrale dell'epoca moderna, tanto che esso non può non influenzare il diritto positivo e la filosofia del diritto. Perfino le teorie sulla "pluralità degli ordinamenti giuridici" sono un portato diritto del sindacalismo, almeno così come appaiono nella formazione di Santi Romano che Panunzio definisce "un episodio del sindacalismo", la cui importanza sta nel " sottosuolo storico e sociale da cui essa promana e balza fuori". Da qui la considerazione di Panunzio di difendere, costi quel che costi, lo Stato sindacale e fascista promotore e ordinatore della società secondo una dimensione umana. La difesa delle istituzioni passa necessariamente attraverso una nuova concezione della pena che deve essere, secondo il giurista, la logica conseguenza di tutto il complesso di idee, nozioni e valori su cui lo Stato fascista si fonda e sulle considerazioni inerenti alla sua difesa dagli attacchi interni ed internazionali cui può essere fatto oggetto. Scomodando Renan, Taine, Sorel e Pareto - propugnatori dello Stato forte contro la dissoluzione individualistica della società e del costume - Panunzio energicamente scrive: "Se lo Stato pienamente formato ha il diritto elementare e più ancora il dovere essenziale di difendersi contro tutti gli attacchi, vieppiù ed a maggior titolo ha il diritto ed il dovere di difendersi da tutti gli attentati, gli assalti e i ritorni offensivi controrivoluzionari, lo Stato in formazione e cioè la Rivoluzione. Una rivoluzione invero che non si difenda contro la controrivoluzione è una contraddizione logica, come dire la vita che non vuol vivere e dimentica e perde la volontà di vivere, un assurdo morale e giuridico, una suprema immoralità" .


Arnaldo Mussolini
(tratto da Nuovi Orizzonti Europei)


Biografia di Sergio Panuzio e bibliografia parziale su WikipediA.

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