“Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l'onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana.”
Queste parole drammatiche furono trovate, quarant’anni fa, sugli appunti di uno studente di Filosofia dell’Università di Praga. Pochi giorni prima, il loro autore si era dato fuoco in piazza San Venceslao ed era morto, dopo tre giorni di lucida agonia, il 19 gennaio 1969. Il suo nome era Jan Palach. Un gesto difficile da interpretare: a scatenarlo era stata la durissima repressione, da parte delle truppe sovietiche, della Primavera di Praga, una repressione che aveva segnato la fine delle ultime speranze, per il popolo cecoslovacco, di un avvenire di libertà. Innanzitutto e soprattutto, dunque, un atto di ribellione al totalitarismo comunista. Ma ridurlo a questo sarebbe forse riduttivo: quello di Jan Palach fu il gesto di un giovane incapace di vivere senza libertà. Fu un vero e proprio rito sacrificale, con cui immolò se stesso per redimere il suo popolo, tanto che perfino la Chiesa Cattolica, ammirata, pregò perché la sua anima trovasse posto in Paradiso. Ma oggi, per prima cosa, quel gesto assume il carattere di un duro monito all’Occidente: quell’Occidente che quarant’anni fa fece finta di non vedere quanto stava accadendo oltre cortina, lasciando soli i giovani anticomunisti come Jan, e portandoli a gesti disperati. Quell’Occidente che oggi lo ha dimenticato e finge che non sia mai esistito. Perché in una società sprofondata nel nulla, che ha fatto della mediocrità e del compromesso la propria regola, che ridicolizza sistematicamente miti ed Eroi, una simile figura è scomoda e pericolosa. Il grido di dolore di Jan Palach è il grido di una gioventù disperata, che non accetta la condanna ad un’esistenza che abbia come unico scopo la mera sopravvivenza e la conservazione di una tranquillità meschina, che non si rassegna a sprofondare nel vuoto del conformismo e dell’ipocrisia. A distanza di quarant’anni, e caduta ormai l’illusione comunista è quindi più che mai necessario continuare a ricordare un martire ed un Eroe, che seppe amare la sua Patria e la Libertà fino al dono totale di sé, con la propria Vita.
Paolo Maria Filipazzi
Azione Giovani Lodi
Feder. Prov. Alleanza Nazionale Lodi
Più guardiamo al passato e più nasce forte l'esigenza dell'introduzione del reato di APOLOGIA DEL COMUNISMO.
RispondiEliminaPer non dimenticare!
la cosa ancor più tragica è, che esistono paesi in cui questa utopia, fallimentare, e antidemicratica continua ad esistere, e che martiri come palach non trovano un minimo di platea, perchè coperti da censura, in nome della difesa della "civiltà comunista".
RispondiEliminaalla faccia di coloro, che in nome di codesti ideali, sfila ancora orgogliosamente per le strade del nostro paese.
in nome di Palach, e di tutti i martiri ignoti, io vi dico: VERGOGNA.
il borghese