martedì 7 gennaio 2014

Massoni Rossi. “Quando la sera andavamo da Licio Gelli”

di FURIO LO FORTE



Partiamo da un libro shock sui “Panni sporchi della sinistra” per ricostruire quell’asse inconfessabile che da tempo collega uomini dell’ex Pci ad una certa parte della magistratura, con la supervisione delle massonerie organiche ai poteri finanziari internazionali. Il quadro di un Paese nel quale si decidono a tavolino epurazioni e ribaltamenti dei governi, si eliminano i giornalisti indipendenti e si abbandonano i testimoni di giustizia     

 
Non c’è bisogno di andare molto lontano per scovare la malapianta dentro cui affonda le radici la guerra non dichiarata - ma che ha già fatto molte vittime - da parte di segmenti strategici della magistratura e dello Stato contro giornalisti, testimoni di giustizia ed esponenti dell’antimafia che con le loro denunce sono andati a toccare in questi anni nervi scoperti del rapporto fra istituzioni italiane, massoneria internazionale e malavita organizzata.

Punto di svolta è - come da più parti ricordato - l’arco temporale che va dalle stragi del ’92-’93 ai primi anni di Mani Pulite. Da qui in poi finiscono gli attentati dinamitardi. E il sangue sulle strade resta riservato ai capetti dei piccoli clan locali in lotta fra loro per il racket o per lo spaccio nel quartiere. E da qui scende direttamente in campo quella parte della magistratura che risponde a poteri “altri”. Da quel momento in poi non c’è più bisogno di uccidere. Basta procedere a colpi di perquisizioni, sequestri, delegittimazioni, arresti, o anche solo sfinimento per processi che costano cifre enormi soltanto per pagarsi gli avvocati.

C’è un grande libro, uscito in questi giorni, che irrompe nel dibattito sulle vere ragioni della crisi che sta devastando e decimando l’Italia. Lo ha scritto, insieme a Stefano Santachiara, Ferruccio Pinotti, l’unico giornalista italiano che non nutra timori reverenziali ne´ per il potere e nemmeno per la magistratura, e che sia in grado, raccogliendo le prove, di rendere il quadro osceno di quello che ci sta davvero accadendo.

Ne “I panni sporchi della sinistra”, pubblicato con altrettanto coraggio e impegno civile da Chiarelettere, Pinotti dipana lucidamente il filo che ha intrecciato negli ultimi cinquant’anni la storia dell’ex Pci e dei suoi uomini di vertice (in primis il capo dello Stato Giorgio Napolitano) con le protezioni filoatlantiche riservate a quella parte politica dalla massoneria internazionale e statunitense. Senza mai dimenticare il ruolo che, nei momenti decisivi di questo connubio, è stato svolto da una certa magistratura, specialmente quella che sarebbe poi apertamente passata nell’agone politico. Ancora una prova, il libro, che se oggi si vuole seriamente analizzare la massoneria bisogna partire da quella compagine “rossa” che racchiude gli inconfessabili rapporti di alleanza fra il Pd, Magistratura Democratica (ma non tutta, e non solo), e i loro referenti sovranazionali di matrice massonica.


LA SERA ANDAVAMO DA GELLI

Il rivolgimento epocale al vertice delle istituzioni italiane avvenuto fra 1992 e 1994 non fu certamente dovuto ad un certo Mario Chiesa, pescato con le mani nel sacco mentre prendeva tangenti per il Pio Albergo Trivulzio. Se ormai tutti gli storici - anche i più irregimentati - concordano sulla bufala del “mariuolo” Chiesa, fatta passare ad arte come pietra dello scandalo, meno noti risultano alcuni particolari dell’epoca che convergono sulla triangolazione ex Pci-Md e Massoneria quale “mandante” vero di quella Tangentopoli che in poco più di un anno avrebbe sostituito in blocco la classe dirigente italiana.

Attraverso la relazione - rimasta segreta - fra una donna che aveva lavorato in quegli anni al servizio della famiglia di Licio Gelli ed un noto esponente della allora “Milano da bere”, alla Voce è filtrata la notizia che in quegli anni a Villa Wanda era stato ricevuto, in veste tutt’altro che ufficiale, un importante magistrato collegato al pool. Lo stesso - secondo la testimone - si sarebbe trattenuto a lungo col Venerabile in uno o più incontri, definiti dalla donna “di tono conviviale”.

Se questa circostanza risultasse verificata, troverebbero ulteriore conferma anche altre ricostruzioni che emergono dal libro di Pinotti. Come quell’incredibile gioco delle parti fra centrodestra e centrosinistra, nel quale i burattinai (o “illuminati”, trilateral o bilderberg, che dir si voglia) scaricano o esaltano gli uomini di potere per i quali “è giunta l’ora”, indipendentemente dalle appartenenze politiche, secondo logiche di regia occulta dell’economia - o della dis-economia - italiana.

Una chiave che spiegherebbe, ad esempio, quanto nel libro di Pinotti e Santachiara si documenta circa il feeling politico di lunga data, benedetto dalle comuni simpatie massoniche, fra Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi. Il capitolo si intitola Silvio e Giorgio: affinità e “fratellanza”? «Il complesso rapporto creatosi nel corso degli anni tra Berlusconi e Napolitano - si legge - suggerisce sintonie che spesso vanno oltre la simpatia personale e il reciproco rispetto che può esistere tra figure che dovrebbero essere radicalmente lontane, sia per storia intellettuale e professionale sia per schieramento politico». Del Cavaliere si ricorda, oltre alla conclamata appartenenza alla P2, la minuziosa simbologia massonica fatta erigere nel mausoleo della villa di Arcore, senza contare le affermazioni del confratello ribelle, Gioele Magaldi, secondo il quale Berlusconi avrebbe fondato a suo tempo una officina autonoma con poteri sovranazionali, la “Loggia del Drago”, cui si dovrebbe, fra l’altro, buona parte del trionfo elettorale dal ’94 in poi.

Molto più complesso - ammettono gli autori - il discorso che riguarda Napolitano. A parlare è stavolta un avvocato da sempre molto vicino al presidente, che rivela: «Già il padre di Giorgio Napolitano è stato un importante massone, una delle figure più in vista della massoneria partenopea». L’avvocato Giovanni, figura di primo piano delle elites culturali partenopee di inizio ‘900, «avrebbe trasmesso al figlio Giorgio non solo l’amore per i codici, ma anche quello per la “fratellanza”». Analogo transfert ci sarebbe stato tra il futuro presidente e Giovanni Amendola (padre di Giorgio Amendola), massone e figura carismatica del Pci.


IL VOLTO “SORRIDENTE” DEL PCI

Nel tentativo di spegnere l’onda d’urto generata dall’uscita del libro di Pinotti, il Venerdì di Repubblica del 13 dicembre pone in copertina un giovanissimo Napolitano. E nell’articolo interno si dilunga sulle attenzioni che gli Usa hanno riservato a quel «volto sorridente del Pci», come veniva definito nei cablo rimasti per anni segreti. Ne vien fuori il ritratto di un alto dirigente colto e moderato, per lungo tempo seguito dalla Cia, perno dell’equilibrio che ha tenuto in piedi l’alleanza fra gli Stati Uniti e l’Italia. Niente a che vedere con le rivelazioni bomba contenute nel volume di Chiarelettere.

Eppure, a ben guardare, anche il pezzo del Venerdì proprio a quelle rivelazioni aggiunge qualcosa di interessante. Come quando ricorda il ciclo di conferenze tenute da Napolitano nel 1978 a Chatham House, Londra. Parliamo di uno dei principali centri del potere occulto mondiale ancora oggi. O quando nel pezzo si riporta la comunicazione riservata sul terrorismo in Italia dell’ambasciata inglese a Roma al ministro degli esteri britannico Caroline Redman: «Napolitano è rimasto del tutto sconcertato dalle esternazioni di Pertini sul terrorismo italiano manovrato dall’estero (...). Non ci sarebbe stato da sorprendersi, ad esempio, se la Francia si fosse offesa». La comunicazione è datata 19 febbraio 1981. Appena sei mesi prima, il 27 giugno 1980, nei cieli di Ustica un Dc 9 dell’aeronautica civile con 81 persone a bordo veniva abbattuto da quello che dopo molti anni si confermerà come un atto di guerra congiunto di Francia e Stati Uniti per eliminare il comandante libico Muammar Gheddafi.  

Arriviamo al 1998: «i servizi segreti - ricostruisce Pinotti - avevano avvisato il Viminale delle capacità di fuga di Gelli durante la sua detenzione nel carcere svizzero di Champ Dollon». Eppure nel maggio di quell’anno «il Viminale guidato da Napolitano non riesce a evitare la fuga all’estero del capo della P2 Licio Gelli dopo l’ennesima condanna per il crac dell’Ambrosiano. Nonostante le ingenti risorse informative del ministero dell’Interno, il Venerabile lascia l’Italia indisturbato».

Comunque, tra i “volti sorridenti del Pci”, a Napoli si ricorda anche quello di Eugenio Jannelli, altrimenti detto il “barone rosso”. Scomparso nel 2005, il caposcuola dell’ortopedia partenopea, iscritto al Pci dal 1947, poi parlamentare, era fra gli amici più stretti di Napolitano. E fu proprio in Transatlantico che i cronisti della Voce lo incontrarono nel 1994, quando sulle pagine del mensile comparvero per la prima volta gli elenchi della massoneria in Campania. Perche´ fra i nomi dei confratelli spiccava il suo, quello dell’onorevole Jannelli. Alle nostre domande si schermì col sorriso del nobiluomo d’altri tempi e preferì non rispondere.


GIRO MANCINO

Studiosi e investigatori di fatti massonici - nel cui novero va considerato a buon diritto Ferruccio Pinotti, autore dei non meno dirompenti Fratelli d’Italia (2007) e Vaticano Massone (2013) - ci hanno spiegato da tempo che le personalità “di peso” vengono generalmente affiliate a logge estere. Come la Freedom di New York, che letteralmente pullula di italiani, o le diverse comunioni collegate a centri di potere come la stessa Chatham House, a Londra, o l’Aspen Institute, a Washington. Da qui la difficoltà a tradurre in prove concrete quell’aura di occultismo che aleggia intorno a tanti big delle nostre istituzioni. Salvo sporadici “incidenti di percorso”. Capita per esempio quando un empito di vanità spinge un leader a firmare un editoriale su una rivista ufficiale della massoneria, o a non astenersi dal presenziare ai convegni organizzati dai confratelli.

Il sito ufficiale del Grande Oriente d’Italia possiede nell’archivio online un gran numero di riviste riferibili alla “cultura” massonica fra cui Il pensiero mazziniano, che nel numero di dicembre 2009 vedeva come firma illustre quella di Nicola Mancino, autore di un saggio sul meridionalista Michele Cifarelli del Partito Repubblicano Italiano.

Nel 2009 Mancino era già vicepresidente del Csm da tre anni. In sostanza, dal 2006 al 2010 alla guida della giustizia italiana siedono due uomini accreditabili quanto meno di stima e simpatia verso la massoneria: il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Giorgio Napolitano, capo dello Stato, e il vicepresidente Nicola Mancino.

Sui rapporti fra Mancino e Napolitano emersi nel corso delle indagini della Procura di Palermo sulla trattativa stato-mafia si sofferma a lungo il libro di Pinotti, che ricorda come «nel novembre 2011 Mancino, preoccupato per la piega che ha preso l’indagine di Palermo», «comincia a tempestare di chiamate uno stretto collaboratore del Quirinale, responsabile degli affari dell’amministrazione della giustizia», Loris D’Ambrosio. Fino al 27 giugno 2012, quando arriva lo scoop di Panorama sull’esistenza di dialoghi tra Napolitano e Mancino intercettati sull’utenza di quest’ultimo. Un mese dopo, il 27 luglio, Loris D’Ambrosio muore d’infarto mentre si trova nel suo studio. E «il 4 dicembre 2012 la Corte costituzionale accoglie la richiesta di distruggere le quattro telefonate della discordia, assicurando che “Il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione”».


MAGISTRATURA E “DEMOCRATICI”

Risale ai tempi del “barone rosso” Jannelli, o del comunista-massone Amendola, quella stretta vicinanza che tuttora dura fra gli ex Pci e tanta parte della magistratura italiana, quasi sempre riunita sotto i vessilli di MD, Magistratura Democratica.

Esponente di punta di MD era ad esempio, quando ancora faceva il magistrato, Alberto Maritati, altra figura emblematica ricordata ne “I panni sporchi della sinistra” per il suo passaggio dall’ordine giudiziario alla carriera politica di ordinanza dalemiana. Dobbiamo tornare al 1994, quando il futuro lider maximo viene iscritto nel registro degli indagati per un finanziamento ricevuto dal re della sanità pugliese, Francesco Cavallari. Interrogato dal pm Alberto Maritati, ad aprile ’94 Cavallari vuota il sacco: «Non nascondo che in una circostanza particolare ho dato un contributo di 20 milioni al Partito Comunista. D’Alema è venuto a cena a casa mia e alla fine della cena io spontaneamente mi permisi di dire, poiche´ eravamo alla campagna elettorale del 1985, che volevo dare un contributo al Pci». Ora proseguiamo su Wikipedia: «Maritati archiviò il processo D'Alema nel 1995 per decorrenza dei termini di prescrizione, nonostante lo stesso D'Alema avesse dichiarato di aver ricevuto illegalmente un finanziamento per il Partito Comunista. Maritati si candidò quindi per volontà di D'Alema nel giugno 1999 e rimase in carica come senatore del Pd fino al febbraio 2013, quando rinunciò a partecipare alle primarie per le nuove elezioni politiche».

Ne´ meno significative, da questo punto di vista, sono state le intese politiche fra l’ex Pci di D’Alema e il “simbolo di Mani Pulite” Antonio Di Pietro: nemmeno il tempo di lasciare la toga (maggio 1996) e si ritroverà prima ministro dei Lavori pubblici nel governo Prodi, poi candidato al Mugello per volontà di D’Alema.


IL BLOCCO

Dal libro di Pinotti e dalle tante circostanze via via venute alla luce grazie alle sue rivelazioni, emerge con chiarezza, forse per la prima volta, un blocco di potere granitico, trasversale, pronto ad entrare in azione con qualsiasi mezzo per indirizzare i destini delle nazioni. In questo caso, la nostra. Un blocco che ha solo in apparenza le sembianze della “vecchia” ideologia di stampo comunista ed è invece capace, come abbiamo visto, di appoggiare (o affossare) i suoi referenti di punta per determinare gli effetti prestabiliti sulle economie dei Paesi occidentali. Uno scenario nel quale ad un personaggio come Silvio Berlusconi per vent’anni non si addebitano sul piano giudiziario le responsabilità connesse ad affari e frequentazioni più volte documentate con gli “uomini d’onore”, ma si attua la sua eliminazione dalla scena politica al momento stabilito, attraverso un processo (senza prove) per presunti rapporti con una navigata velina quasi diciottenne.

E’ da qui, da questo blocco, che dobbiamo partire per spiegare come siano finiti sotto i colpi di una violenta ed incessante delegittimazione “giudiziaria” gli stessi magistrati che avevano osato squarciare il velo sui santuari nascosti del potere (nel libro di Pinotti c’è un edificante capitolo sul caso di Clementina Forleo), o quei tanti giornalisti che avevano provato a raccogliere prove ed erano arrivati vicini al grumo di interessi che sta devastando il Paese e decimando la popolazione. Cronisti indipendenti, non protetti dai grossi capitali di editori come Carlo De Benedetti (il quale peraltro, come documentato dallo stesso Pinotti in Fratelli d’Italia, era iscritto alla P2 esattamente come il “nemico” Berlusconi, dal quale oggi pretende altri 32 milioni di “danni non patrimoniali”, dopo che la Cassazione gli aveva già assegnato la stratosferica somma di 494 milioni, sempre di provenienza “cav”).

Ed è sempre a quel blocco che dovremo d’ora in poi riferirci se vorremo capire perche´ centinaia di testimoni di giustizia come Gennaro Ciliberto (vedi anche box a pagina 6), persone oneste che hanno rischiato a viso aperto la propria vita e quella dei loro familiari per far condannare i mafiosi, si vedono costretti ad inscenare manifestazioni dinanzi a Via Arenula, o al Viminale, sono stati abbandonati al loro destino, privati di case, lavoro e spesso anche affetti, al punto che molti non riusciranno nemmeno ad arrivare vivi alle udienze nelle quali saranno chiamati a confermare le tremende accuse che inchiodano i boss, guardandoli in faccia.
 

(tratto da La Voce delle Voci)


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