di
FURIO LO FORTE
Partiamo da un libro shock sui “Panni sporchi
della sinistra” per ricostruire quell’asse inconfessabile che da tempo
collega uomini dell’ex Pci ad una certa parte della magistratura, con la
supervisione delle massonerie organiche ai poteri finanziari
internazionali. Il quadro di un Paese nel quale si decidono a
tavolino epurazioni e ribaltamenti dei governi, si eliminano i
giornalisti indipendenti e si abbandonano i testimoni di giustizia
Non c’è bisogno di andare molto lontano per scovare la malapianta
dentro cui affonda le radici la guerra non dichiarata - ma che ha già
fatto molte vittime - da parte di segmenti strategici della magistratura
e dello Stato contro giornalisti, testimoni di giustizia ed esponenti
dell’antimafia che con le loro denunce sono andati a toccare in questi
anni nervi scoperti del rapporto fra istituzioni italiane, massoneria
internazionale e malavita organizzata.
Punto di svolta è - come da più parti ricordato - l’arco temporale che
va dalle stragi del ’92-’93 ai primi anni di Mani Pulite. Da qui in poi
finiscono gli attentati dinamitardi. E il sangue sulle strade resta
riservato ai capetti dei piccoli clan locali in lotta fra loro per il
racket o per lo spaccio nel quartiere. E da qui scende direttamente in
campo quella parte della magistratura che risponde a poteri “altri”. Da
quel momento in poi non c’è più bisogno di uccidere. Basta procedere a
colpi di perquisizioni, sequestri, delegittimazioni, arresti, o anche
solo sfinimento per processi che costano cifre enormi soltanto per
pagarsi gli avvocati.
C’è un grande libro, uscito in questi giorni, che irrompe nel dibattito
sulle vere ragioni della crisi che sta devastando e decimando l’Italia.
Lo ha scritto, insieme a Stefano Santachiara, Ferruccio Pinotti, l’unico
giornalista italiano che non nutra timori reverenziali ne´ per il
potere e nemmeno per la magistratura, e che sia in grado, raccogliendo
le prove, di rendere il quadro osceno di quello che ci sta davvero
accadendo.
Ne “I panni sporchi della sinistra”, pubblicato con altrettanto coraggio
e impegno civile da Chiarelettere, Pinotti dipana lucidamente il filo
che ha intrecciato negli ultimi cinquant’anni la storia dell’ex Pci e
dei suoi uomini di vertice (in primis il capo dello Stato Giorgio
Napolitano) con le protezioni filoatlantiche riservate a quella parte
politica dalla massoneria internazionale e statunitense. Senza mai
dimenticare il ruolo che, nei momenti decisivi di questo connubio, è
stato svolto da una certa magistratura, specialmente quella che sarebbe
poi apertamente passata nell’agone politico. Ancora una prova, il libro,
che se oggi si vuole seriamente analizzare la massoneria bisogna
partire da quella compagine “rossa” che racchiude gli inconfessabili
rapporti di alleanza fra il Pd, Magistratura Democratica (ma non tutta, e
non solo), e i loro referenti sovranazionali di matrice massonica.
LA SERA ANDAVAMO DA GELLI
Il rivolgimento epocale al vertice delle istituzioni italiane avvenuto
fra 1992 e 1994 non fu certamente dovuto ad un certo Mario Chiesa,
pescato con le mani nel sacco mentre prendeva tangenti per il Pio
Albergo Trivulzio. Se ormai tutti gli storici - anche i più
irregimentati - concordano sulla bufala del “mariuolo” Chiesa, fatta
passare ad arte come pietra dello scandalo, meno noti risultano alcuni
particolari dell’epoca che convergono sulla triangolazione ex Pci-Md e
Massoneria quale “mandante” vero di quella Tangentopoli che in poco più
di un anno avrebbe sostituito in blocco la classe dirigente italiana.
Attraverso la relazione - rimasta segreta - fra una donna che aveva
lavorato in quegli anni al servizio della famiglia di Licio Gelli ed un
noto esponente della allora “Milano da bere”, alla Voce è filtrata la
notizia che in quegli anni a Villa Wanda era stato ricevuto, in veste
tutt’altro che ufficiale, un importante magistrato collegato al pool. Lo
stesso - secondo la testimone - si sarebbe trattenuto a lungo col
Venerabile in uno o più incontri, definiti dalla donna “di tono
conviviale”.
Se questa circostanza risultasse verificata, troverebbero ulteriore
conferma anche altre ricostruzioni che emergono dal libro di Pinotti.
Come quell’incredibile gioco delle parti fra centrodestra e
centrosinistra, nel quale i burattinai (o “illuminati”, trilateral o
bilderberg, che dir si voglia) scaricano o esaltano gli uomini di potere
per i quali “è giunta l’ora”, indipendentemente dalle appartenenze
politiche, secondo logiche di regia occulta dell’economia - o della
dis-economia - italiana.
Una chiave che spiegherebbe, ad esempio, quanto nel libro di Pinotti e
Santachiara si documenta circa il feeling politico di lunga data,
benedetto dalle comuni simpatie massoniche, fra Giorgio Napolitano e
Silvio Berlusconi. Il capitolo si intitola Silvio e Giorgio: affinità e
“fratellanza”? «Il complesso rapporto creatosi nel corso degli anni tra
Berlusconi e Napolitano - si legge - suggerisce sintonie che spesso
vanno oltre la simpatia personale e il reciproco rispetto che può
esistere tra figure che dovrebbero essere radicalmente lontane, sia per
storia intellettuale e professionale sia per schieramento politico». Del
Cavaliere si ricorda, oltre alla conclamata appartenenza alla P2, la
minuziosa simbologia massonica fatta erigere nel mausoleo della villa di
Arcore, senza contare le affermazioni del confratello ribelle, Gioele
Magaldi, secondo il quale Berlusconi avrebbe fondato a suo tempo una
officina autonoma con poteri sovranazionali, la “Loggia del Drago”, cui
si dovrebbe, fra l’altro, buona parte del trionfo elettorale dal ’94 in
poi.
Molto più complesso - ammettono gli autori - il discorso che riguarda
Napolitano. A parlare è stavolta un avvocato da sempre molto vicino al
presidente, che rivela: «Già il padre di Giorgio Napolitano è stato un
importante massone, una delle figure più in vista della massoneria
partenopea». L’avvocato Giovanni, figura di primo piano delle elites
culturali partenopee di inizio ‘900, «avrebbe trasmesso al figlio
Giorgio non solo l’amore per i codici, ma anche quello per la
“fratellanza”». Analogo transfert ci sarebbe stato tra il futuro
presidente e Giovanni Amendola (padre di Giorgio Amendola), massone e
figura carismatica del Pci.
IL VOLTO “SORRIDENTE” DEL PCI
Nel tentativo di spegnere l’onda d’urto generata dall’uscita del libro
di Pinotti, il Venerdì di Repubblica del 13 dicembre pone in copertina
un giovanissimo Napolitano. E nell’articolo interno si dilunga sulle
attenzioni che gli Usa hanno riservato a quel «volto sorridente del
Pci», come veniva definito nei cablo rimasti per anni segreti. Ne vien
fuori il ritratto di un alto dirigente colto e moderato, per lungo tempo
seguito dalla Cia, perno dell’equilibrio che ha tenuto in piedi
l’alleanza fra gli Stati Uniti e l’Italia. Niente a che vedere con le
rivelazioni bomba contenute nel volume di Chiarelettere.
Eppure, a ben guardare, anche il pezzo del Venerdì proprio a quelle
rivelazioni aggiunge qualcosa di interessante. Come quando ricorda il
ciclo di conferenze tenute da Napolitano nel 1978 a Chatham House,
Londra. Parliamo di uno dei principali centri del potere occulto
mondiale ancora oggi. O quando nel pezzo si riporta la comunicazione
riservata sul terrorismo in Italia dell’ambasciata inglese a Roma al
ministro degli esteri britannico Caroline Redman: «Napolitano è rimasto
del tutto sconcertato dalle esternazioni di Pertini sul terrorismo
italiano manovrato dall’estero (...). Non ci sarebbe stato da
sorprendersi, ad esempio, se la Francia si fosse offesa». La
comunicazione è datata 19 febbraio 1981. Appena sei mesi prima, il 27
giugno 1980, nei cieli di Ustica un Dc 9 dell’aeronautica civile con 81
persone a bordo veniva abbattuto da quello che dopo molti anni si
confermerà come un atto di guerra congiunto di Francia e Stati Uniti per
eliminare il comandante libico Muammar Gheddafi.
Arriviamo al 1998: «i servizi segreti - ricostruisce Pinotti - avevano
avvisato il Viminale delle capacità di fuga di Gelli durante la sua
detenzione nel carcere svizzero di Champ Dollon». Eppure nel maggio di
quell’anno «il Viminale guidato da Napolitano non riesce a evitare la
fuga all’estero del capo della P2 Licio Gelli dopo l’ennesima condanna
per il crac dell’Ambrosiano. Nonostante le ingenti risorse informative
del ministero dell’Interno, il Venerabile lascia l’Italia indisturbato».
Comunque, tra i “volti sorridenti del Pci”, a Napoli si ricorda anche
quello di Eugenio Jannelli, altrimenti detto il “barone rosso”.
Scomparso nel 2005, il caposcuola dell’ortopedia partenopea, iscritto al
Pci dal 1947, poi parlamentare, era fra gli amici più stretti di
Napolitano. E fu proprio in Transatlantico che i cronisti della Voce lo
incontrarono nel 1994, quando sulle pagine del mensile comparvero per la
prima volta gli elenchi della massoneria in Campania. Perche´ fra i
nomi dei confratelli spiccava il suo, quello dell’onorevole Jannelli.
Alle nostre domande si schermì col sorriso del nobiluomo d’altri tempi e
preferì non rispondere.
GIRO MANCINO
Studiosi e investigatori di fatti massonici - nel cui novero va
considerato a buon diritto Ferruccio Pinotti, autore dei non meno
dirompenti Fratelli d’Italia (2007) e Vaticano Massone (2013) - ci hanno
spiegato da tempo che le personalità “di peso” vengono generalmente
affiliate a logge estere. Come la Freedom di New York, che letteralmente
pullula di italiani, o le diverse comunioni collegate a centri di
potere come la stessa Chatham House, a Londra, o l’Aspen Institute, a
Washington. Da qui la difficoltà a tradurre in prove concrete quell’aura
di occultismo che aleggia intorno a tanti big delle nostre istituzioni.
Salvo sporadici “incidenti di percorso”. Capita per esempio quando un
empito di vanità spinge un leader a firmare un editoriale su una rivista
ufficiale della massoneria, o a non astenersi dal presenziare ai
convegni organizzati dai confratelli.
Il sito ufficiale del Grande Oriente d’Italia possiede nell’archivio
online un gran numero di riviste riferibili alla “cultura” massonica fra
cui Il pensiero mazziniano, che nel numero di dicembre 2009 vedeva come
firma illustre quella di Nicola Mancino, autore di un saggio sul
meridionalista Michele Cifarelli del Partito Repubblicano Italiano.
Nel 2009 Mancino era già vicepresidente del Csm da tre anni. In
sostanza, dal 2006 al 2010 alla guida della giustizia italiana siedono
due uomini accreditabili quanto meno di stima e simpatia verso la
massoneria: il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura
Giorgio Napolitano, capo dello Stato, e il vicepresidente Nicola
Mancino.
Sui rapporti fra Mancino e Napolitano emersi nel corso delle indagini
della Procura di Palermo sulla trattativa stato-mafia si sofferma a
lungo il libro di Pinotti, che ricorda come «nel novembre 2011 Mancino,
preoccupato per la piega che ha preso l’indagine di Palermo», «comincia a
tempestare di chiamate uno stretto collaboratore del Quirinale,
responsabile degli affari dell’amministrazione della giustizia», Loris
D’Ambrosio. Fino al 27 giugno 2012, quando arriva lo scoop di Panorama
sull’esistenza di dialoghi tra Napolitano e Mancino intercettati
sull’utenza di quest’ultimo. Un mese dopo, il 27 luglio, Loris
D’Ambrosio muore d’infarto mentre si trova nel suo studio. E «il 4
dicembre 2012 la Corte costituzionale accoglie la richiesta di
distruggere le quattro telefonate della discordia, assicurando che “Il
presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o
attentato alla Costituzione”».
MAGISTRATURA E “DEMOCRATICI”
Risale ai tempi del “barone rosso” Jannelli, o del comunista-massone
Amendola, quella stretta vicinanza che tuttora dura fra gli ex Pci e
tanta parte della magistratura italiana, quasi sempre riunita sotto i
vessilli di MD, Magistratura Democratica.
Esponente di punta di MD era ad esempio, quando ancora faceva il
magistrato, Alberto Maritati, altra figura emblematica ricordata ne “I
panni sporchi della sinistra” per il suo passaggio dall’ordine
giudiziario alla carriera politica di ordinanza dalemiana. Dobbiamo
tornare al 1994, quando il futuro lider maximo viene iscritto nel
registro degli indagati per un finanziamento ricevuto dal re della
sanità pugliese, Francesco Cavallari. Interrogato dal pm Alberto
Maritati, ad aprile ’94 Cavallari vuota il sacco: «Non nascondo che in
una circostanza particolare ho dato un contributo di 20 milioni al
Partito Comunista. D’Alema è venuto a cena a casa mia e alla fine della
cena io spontaneamente mi permisi di dire, poiche´ eravamo alla campagna
elettorale del 1985, che volevo dare un contributo al Pci». Ora
proseguiamo su Wikipedia: «Maritati archiviò il processo D'Alema nel
1995 per decorrenza dei termini di prescrizione, nonostante lo stesso
D'Alema avesse dichiarato di aver ricevuto illegalmente un finanziamento
per il Partito Comunista. Maritati si candidò quindi per volontà di
D'Alema nel giugno 1999 e rimase in carica come senatore del Pd fino al
febbraio 2013, quando rinunciò a partecipare alle primarie per le nuove
elezioni politiche».
Ne´ meno significative, da questo punto di vista, sono state le intese
politiche fra l’ex Pci di D’Alema e il “simbolo di Mani Pulite” Antonio
Di Pietro: nemmeno il tempo di lasciare la toga (maggio 1996) e si
ritroverà prima ministro dei Lavori pubblici nel governo Prodi, poi
candidato al Mugello per volontà di D’Alema.
IL BLOCCO
Dal libro di Pinotti e dalle tante circostanze via via venute alla luce
grazie alle sue rivelazioni, emerge con chiarezza, forse per la prima
volta, un blocco di potere granitico, trasversale, pronto ad entrare in
azione con qualsiasi mezzo per indirizzare i destini delle nazioni. In
questo caso, la nostra. Un blocco che ha solo in apparenza le sembianze
della “vecchia” ideologia di stampo comunista ed è invece capace, come
abbiamo visto, di appoggiare (o affossare) i suoi referenti di punta per
determinare gli effetti prestabiliti sulle economie dei Paesi
occidentali. Uno scenario nel quale ad un personaggio come Silvio
Berlusconi per vent’anni non si addebitano sul piano giudiziario le
responsabilità connesse ad affari e frequentazioni più volte documentate
con gli “uomini d’onore”, ma si attua la sua eliminazione dalla scena
politica al momento stabilito, attraverso un processo (senza prove) per
presunti rapporti con una navigata velina quasi diciottenne.
E’ da qui, da questo blocco, che dobbiamo partire per spiegare come
siano finiti sotto i colpi di una violenta ed incessante
delegittimazione “giudiziaria” gli stessi magistrati che avevano osato
squarciare il velo sui santuari nascosti del potere (nel libro di
Pinotti c’è un edificante capitolo sul caso di Clementina Forleo), o
quei tanti giornalisti che avevano provato a raccogliere prove ed erano
arrivati vicini al grumo di interessi che sta devastando il Paese e
decimando la popolazione. Cronisti indipendenti, non protetti dai grossi
capitali di editori come Carlo De Benedetti (il quale peraltro, come
documentato dallo stesso Pinotti in Fratelli d’Italia, era iscritto alla
P2 esattamente come il “nemico” Berlusconi, dal quale oggi pretende
altri 32 milioni di “danni non patrimoniali”, dopo che la Cassazione gli
aveva già assegnato la stratosferica somma di 494 milioni, sempre di
provenienza “cav”).
Ed è sempre a quel blocco che dovremo d’ora in poi riferirci se vorremo
capire perche´ centinaia di testimoni di giustizia come Gennaro
Ciliberto (vedi anche box a pagina 6), persone oneste che hanno
rischiato a viso aperto la propria vita e quella dei loro familiari per
far condannare i mafiosi, si vedono costretti ad inscenare
manifestazioni dinanzi a Via Arenula, o al Viminale, sono stati
abbandonati al loro destino, privati di case, lavoro e spesso anche
affetti, al punto che molti non riusciranno nemmeno ad arrivare vivi
alle udienze nelle quali saranno chiamati a confermare le tremende
accuse che inchiodano i boss, guardandoli in faccia.
(tratto da La Voce delle Voci)
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