Il Conservatore
ovvero
I PERCORSI CULTURALI DELLA DESTRA PESTANA
presenta
PLINIO CORREA DE OLIVEIRA
PARTE I : LA RIVOLUZIONE
Capitolo I
Crisi dell'uomo contemporaneo
Le molte crisi che scuotono il mondo odierno -- dello Stato, della famiglia, dell'economia, della
cultura, ecc. -- costituiscono soltanto molteplici aspetti di un'unica crisi fondamentale, che ha come specifico campo d'azione l'uomo stesso. In altri termini, queste crisi hanno la loro radice nei problemi più profondi dell'anima, e da qui si estendono a tutti gli aspetti della personalità dell'uomo contemporaneo e a tutte le sue attività.
Capitolo II
Crisi dell'uomo occidentale e cristiano
Questa crisi tocca principalmente l'uomo occidentale e cristiano, cioè l'europeo e i suoi discendenti, l'americano e l'australiano. Ed è come tale che più particolarmente la studieremo. Essa colpisce anche gli altri popoli, nella misura in cui il mondo occidentale si estende a essi e in essi ha affondato le sue radici. Presso questi popoli tale crisi si aggrava sommandosi ai problemi propri delle rispettive culture e civiltà e si complica per l'urto tra queste e gli elementi positivi e negativi della cultura e della civiltà occidentali.
Capitolo III
Caratteri di questa crisi
Per quanto profondi siano i fattori di diversificazione di questa crisi nei vari paesi del mondo odierno, essa conserva, sempre, cinque caratteri essenziali:
1. È universale
Questa crisi è universale. Oggi non vi è popolo che non ne sia colpito, in misura maggiore o minore.
2. È una
Questa crisi è una. Non si tratta cioè di un insieme di crisi che si sviluppano in modo parallelo e
autonomo in ogni paese, legate tra loro da alcune analogie più o meno rilevanti.
Quando divampa un incendio in una foresta, non è possibile considerare il fenomeno come se fosse costituito da mille incendi autonomi e paralleli, di mille alberi vicini gli uni agli altri. L'unità del fenomeno "combustione", che si opera su quell'unità viva che è la foresta, e il fatto che la grande forza di espansione delle fiamme derivi da un calore nel quale si fondono e si moltiplicano le innumerevoli fiamme dei diversi alberi, tutto, insomma, contribuisce a far sì che l'incendio della foresta sia un fatto unitario, che ingloba in un'unica realtà i mille incendi parziali, per quanto diverso sia ciascuno di essi nei suoi elementi accidentali.
La Cristianità occidentale costituì un tutto unico, che trascendeva i vari paesi cristiani, senza assorbirli. In questa unità viva si è prodotta una crisi che ha finito per colpirla nella sua totalità, per mezzo del calore sommato, anzi fuso, delle sempre più numerose crisi locali che da secoli, ininterrottamente, si vengono intrecciando e aiutando a vicenda. Di conseguenza, la Cristianità come famiglia di Stati ufficialmente cattolici, ha da molto tempo cessato di esistere. Di essa restano come vestigia i popoli occidentali e cristiani. E tutti si trovano nel momento presente in agonia sotto l'azione di questo stesso male.
3. È totale
Considerata in un dato paese, questa crisi si svolge in una zona di problemi così profonda, che
perviene e si estende, per l'ordine stesso delle cose, a tutte le potenze dell'anima, a tutti i campi della cultura, insomma, a tutti i domini dell'azione dell'uomo.
4. È dominante
Considerati superficialmente, gli avvenimenti dei nostri giorni sembrano un groviglio caotico e
inestricabile, e di fatto da molti punti di vista lo sono.
Tuttavia, si possono individuare delle risultanti, profondamente coerenti e vigorose, della congiunzione di tante forze impazzite, purché queste forze siano considerate sotto l'angolazione della grande crisi di cui trattiamo.
Infatti, sotto l'impulso di queste forze in delirio, le nazioni occidentali sono gradatamente spinte verso uno stato di cose che si va rivelando uguale in tutte, e diametralmente opposto alla civiltà cristiana.
Da ciò si vede che questa crisi è come una regina a cui tutte le forze del caos servono come strumenti efficaci e docili.
5. È un processo
Questa crisi non è un fatto straordinario e isolato. Costituisce, anzi, un processo critico già cinque volte secolare, un lungo sistema di cause ed effetti che, nati in un dato momento e con grande intensità nelle zone più profonde dell'anima e della cultura dell'uomo occidentale, vanno producendo, dal secolo XV ai nostri giorni, successive convulsioni. A questo processo si possono giustamente applicare le parole di Pio XII relative a un sottile e misterioso "nemico" della Chiesa:
"Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell'unità nell'organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza la autorità; talvolta l'autorità senza la libertà. È un 'nemico' divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un'economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio" (1).
Questo processo non deve essere visto come una successione assolutamente fortuita di cause ed effetti, che si sono susseguiti in modo inaspettato. Già al suo inizio questa crisi possedeva le energie necessarie per tradurre in atto tutte le sue potenzialità, e ai nostri giorni le conserva sufficientemente vive per causare, attraverso supreme convulsioni, le distruzioni ultime che sono il suo termine logico.
Influenzata e condizionata in sensi diversi, da fattori esterni di ogni tipo -- culturali, sociali, economici, etnici, geografici ed altri -- e seguendo a volte vie molto sinuose, essa tuttavia continua a procedere incessantemente verso il suo tragico fine.
A. Decadenza del Medioevo
Nell'introduzione abbiamo già abbozzato le grandi linee di questo processo. È opportuno ora aggiungere alcuni particolari. Nel secolo XIV si può cominciare a osservare, nell'Europa cristiana, una trasformazione di mentalità che nel corso del secolo XV diventa sempre più chiara. Il desiderio dei piaceri terreni si va trasformando in bramosia. I divertimenti diventano sempre più frequenti e più sontuosi. Gli uomini se ne curano sempre più. Negli abiti, nei modi, nel linguaggio, nella letteratura e nell'arte, l'anelito crescente a una vita piena dei diletti della fantasia e dei sensi va producendo progressive manifestazioni di sensualità e di mollezza. Si verifica un lento deperimento della serietà e dell'austerità dei tempi antichi. Tutto tende al gaio, al grazioso, al frivolo. I cuori si distaccano a poco a poco dall'amore al sacrificio, dalla vera devozione alla Croce, e dalle aspirazioni alla santità e alla vita eterna. La Cavalleria, in altri tempi una delle più alte espressioni dell'austerità cristiana, diventa amorosa e sentimentale, la letteratura d'amore invade tutti i paesi, gli eccessi del lusso e la conseguente avidità di guadagni si estendono a tutte le classi sociali.
Questo clima morale, penetrando nelle sfere intellettuali, produsse chiare manifestazioni di orgoglio, come per esempio il gusto per le dispute pompose e vuote, per i ragionamenti sofistici e inconsistenti, per le esibizioni fatue di erudizione, e adulò vecchie tendenze filosofiche, delle quali la Scolastica aveva trionfato, e che ormai, essendosi rilassato l'antico zelo per l'integrità della fede, rinascevano sotto nuove forme. L'assolutismo dei legisti, che si pavoneggiavano nella conoscenza vanitosa del diritto romano, trovò in prìncipi ambiziosi una eco favorevole. E di pari passo si andò estinguendo nei grandi e nei piccoli la fibra d'altri tempi per contenere il potere regale nei legittimi limiti vigenti al tempo di san Luigi di Francia e di san Ferdinando di Castiglia.
B. Pseudo-Riforma e Rinascimento
Questo nuovo stato d'animo conteneva un desiderio possente, sebbene più o meno inconfessato, di un ordine di cose fondamentalmente diverso da quello che era giunto al suo apogeo nei secoli XII e XIII.
L'ammirazione esagerata, e non di rado delirante, per il mondo antico, servì da mezzo di espressione a questo desiderio. Cercando molte volte di non urtare frontalmente la vecchia tradizione medioevale, l'Umanesimo e il Rinascimento tesero a relegare la Chiesa, il soprannaturale, i valori morali della religione, in secondo piano. Il tipo umano, ispirato ai moralisti pagani, che quei movimenti introdussero come ideale in Europa, e la cultura e la civiltà coerenti con questo tipo umano, non erano che i legittimi precursori dell'uomo avido di guadagni, sensuale, laico e pragmatista dei nostri giorni, della cultura e della civiltà materialistiche nelle quali ci andiamo immergendo sempre più. Gli sforzi per un Rinascimento cristiano non giunsero a distruggere nel loro germe i fattori dai quali derivò il lento trionfo del neopaganesimo.
In alcune parti d'Europa, esso si sviluppò senza portare all'apostasia formale. Notevoli resistenze gli si opposero. E anche quando si installava nelle anime, non osava chiedere loro -- almeno all'inizio -- una rottura formale con la fede.
Ma in altri paesi attaccò apertamente la Chiesa. L'orgoglio e la sensualità, nel cui soddisfacimento consiste il piacere della vita pagana, suscitarono il protestantesimo.
L'orgoglio diede origine allo spirito di dubbio, al libero esame, alla interpretazione naturalistica della Scrittura. Produsse la rivolta contro l'autorità ecclesiastica, espressa in tutte le sette con la negazione del carattere monarchico della Chiesa universale, cioè con la rivolta contro il papato.
Alcune, più radicali, negarono anche quella che si potrebbe chiamare l'alta aristocrazia della Chiesa, ossia i vescovi, suoi prìncipi. Altre ancora negarono lo stesso sacerdozio gerarchico, riducendolo a una semplice delegazione del popolo, unico vero detentore del potere sacerdotale.
Sul piano morale, il trionfo della sensualità nel protestantesimo si affermò con la soppressione del celibato ecclesiastico e con l'introduzione del divorzio.
C. Rivoluzione francese
L'azione profonda dell'Umanesimo e del Rinascimento fra i cattolici non cessò di estendersi, in un crescente concatenamento di conseguenze, in tutta la Francia. Favorita dall'indebolimento della pietà dei fedeli -- prodotto dal giansenismo e dagli altri fermenti che il protestantesimo del secolo XVI aveva disgraziatamente lasciato nel Regno Cristianissimo -- tale azione produsse nel secolo XVIII una dissoluzione quasi generale dei costumi, un modo frivolo e fatuo di considerare le cose, una deificazione della vita terrena, che preparò il campo alla vittoria graduale della irreligione.
Dubbi relativi alla Chiesa, negazione della divinità di Cristo, deismo, ateismo incipiente furono le tappe di questa apostasia.
Profondamente affine al protestantesimo, erede di esso e del neopaganesimo rinascimentale, la Rivoluzione francese fece un'opera in tutto e per tutto simmetrica a quella della Pseudo-Riforma. La Chiesa Costituzionale che essa, prima di naufragare nel deismo e nell'ateismo, tentò di fondare, era un adattamento della Chiesa di Francia allo spirito del protestantesimo. E l'opera politica della Rivoluzione francese non fu altro che la trasposizione, nell'ambito dello Stato, della "riforma" che le sette protestanti più radicali avevano adottato in materia di organizzazione ecclesiastica:
1) Rivolta contro il re, simmetrica alla rivolta contro il Papa;
2) Rivolta della plebe contro i nobili, simmetrica alla rivolta della "plebe" ecclesiastica, cioè dei
fedeli, contro l'aristocrazia della Chiesa, cioè il clero;
3) Affermazione della sovranità popolare, simmetrica al governo di certe sette, esercitato in misura maggiore o minore dai fedeli.
D. Comunismo
Nel protestantesimo erano nate alcune sette che, trasponendo direttamente le loro tendenze religiose nel campo politico, avevano preparato l'avvento dello spirito repubblicano. San Francesco di Sales, nel secolo XVII, mise in guardia il duca di Savoia contro queste tendenze repubblicane (2). Altre sette, spingendosi più avanti, adottarono princìpi che, se non si possono chiamare comunisti in tutto il senso odierno del termine, sono perlomeno pre-comunisti.
Dalla Rivoluzione francese nacque il movimento comunista di Babeuf. E più tardi, dallo spirito sempre più attivo della Rivoluzione, sorsero le scuole del comunismo utopistico del secolo XIX e il comunismo detto scientifico di Marx.
E cosa vi può essere di più logico? Il deismo dà come frutto normale l'ateismo. La sensualità, in rivolta contro i fragili ostacoli del divorzio, tende di per se stessa al libero amore. L'orgoglio, nemico di ogni superiorità, attaccherà necessariamente l'ultima disuguaglianza, cioè quella economica. E così, ebbro del sogno di una Repubblica Universale, della soppressione di ogni autorità ecclesiastica e civile, dell'abolizione di qualsiasi Chiesa e, dopo una dittatura operaia di
transizione, anche dello stesso Stato, ecco ora il neobarbaro del secolo XX, il più recente e più avanzato prodotto del processo rivoluzionario.
E. Monarchia, repubblica e religione
Allo scopo di evitare qualsiasi equivoco, conviene sottolineare che questa esposizione non contiene l'affermazione che la repubblica sia un regime politico necessariamente rivoluzionario. Leone XIII ha messo in chiaro, parlando delle diverse forme di governo, che "ognuna di esse è buona, purché sappia procedere rettamente verso il suo fine, ossia verso il bene comune, per il quale l'autorità sociale è costituita" (3).
Qualifichiamo come rivoluzionaria, questo sì, l'ostilità professata, per principio, contro la monarchia e contro l'aristocrazia, come se fossero forme essenzialmente incompatibili con la dignità umana e l'ordine normale delle cose. È l'errore condannato da san Pio X nella lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25 agosto 1910. In essa il grande e santo Pontefice condanna la tesi del Sillon, secondo la quale "solo la democrazia inaugurerà il regno della perfetta giustizia", ed esclama: "Non è questa una ingiuria alle altre forme di governo, che sono in questo modo abbassate al rango di governi impotenti, accettabili solo in mancanza di meglio?" (4).
Ora, senza questo errore, connaturato al processo di cui parliamo, non si spiega in modo soddisfacente perchè la monarchia, qualificata dal Papa Pio VI come, in tesi, la migliore forma di governo -- la monarchie, le meilleur des gouvernements (5) -- sia stata oggetto, nei secoli XIX e XX, di un movimento mondiale di ostilità che ha abbattuto i troni e le dinastie maggiormente degne di venerazione. La produzione in serie di repubbliche in tutto il mondo è, a nostro modo di vedere, un frutto tipico della Rivoluzione e un suo aspetto fondamentale.
Non può essere qualificato come rivoluzionario chi, per la sua patria, per ragioni concrete e locali, salvi sempre i diritti dell'autorità legittima, preferisce la democrazia all'aristocrazia o alla monarchia. Ma lo è certamente chi, spinto dallo spirito ugualitario della Rivoluzione, odia per principio, e qualifica come essenzialmente ingiusta e inumana, l'aristocrazia o la monarchia.
Da questo odio antimonarchico e antiaristocratico, nascono le democrazie demagogiche, che combattono la tradizione, perseguitano le élites, degradano il tono generale della vita, e creano
un'atmosfera di volgarità che costituisce quasi la nota dominante della cultura e della civiltà, ... se è possibile che i concetti di civiltà e di cultura si realizzino in tali condizioni.
È ben diversa da questa democrazia rivoluzionaria la democrazia descritta da Pio XII:
"Per testimonianza della storia, là ove vige una vera democrazia, la vita del popolo è come impregnata di sane tradizioni, che non è lecito di abbattere. Rappresentanti di queste tradizioni sono anzitutto le classi dirigenti, ossia i gruppi di uomini e donne o le associazioni, che danno, come suol dirsi, il tono nel villaggio e nella città, nella regione e nell'intero paese. Di qui, in tutti i popoli civili, l'esistenza e l'influsso d'istituzioni, eminentemente aristocratiche nel senso più alto della parola, come sono talune accademie di vasta e ben meritata rinomanza. Anche la nobiltà è del numero" (6).
Come si vede, lo spirito della democrazia rivoluzionaria è ben diverso da quello che deve animare una democrazia conforme alla dottrina della Chiesa.
F. Rivoluzione, Contro-Rivoluzione e dittatura
Le presenti considerazioni sulla posizione della Rivoluzione e del pensiero cattolico a proposito delle forme di governo susciteranno in vari lettori una domanda: la dittatura è un fattore di Rivoluzione o di Contro-Rivoluzione?
Per rispondere con chiarezza a una domanda a cui sono state date tante risposte confuse e perfino tendenziose, è necessario stabilire una distinzione tra alcuni elementi che si confondono disordinatamente nell'idea di dittatura, secondo il concetto che ne ha l'opinione pubblica.
Confondendo la dittatura in tesi, con quanto essa è stata in concreto nel nostro secolo, l'opinione pubblica intende per dittatura uno stato di cose nel quale un capo dotato di poteri illimitati governa un paese. Per il bene di questo paese, dicono gli uni. Per il suo male, dicono gli altri. Ma nell'uno e nell'altro caso, questo stato di cose è sempre una dittatura.
Ora, questo concetto ingloba due elementi distinti:
1) Onnipotenza dello Stato;
2) Concentrazione del potere statale in una sola persona.
Sembra che il secondo elemento attiri maggiormente l'attenzione dell'opinione pubblica. Tuttavia, l'elemento fondamentale è il primo, almeno se intendiamo per dittatura uno stato di cose nel quale il potere pubblico, sospeso qualsiasi ordine giuridico, dispone a suo arbitrio di tutti i diritti. È assolutamente evidente che una dittatura può essere esercitata o da un re (la dittatura regale, cioè la sospensione di ogni ordine giuridico e l'esercizio illimitato del potere pubblico da parte del re, non si deve confondere con l'Ancien Régime, in cui queste garanzie esistevano in misura notevole, e ancora meno con la monarchia organica medioevale) o da un capo popolare, da un'aristocrazia ereditaria o da un gruppo di banchieri, o perfino dalla massa. In se stessa, una dittatura esercitata da un capo o da un gruppo di persone, non è né rivoluzionaria né contro-rivoluzionaria. Sarà l'una o l'altra in funzione delle circostanze da cui ha tratto origine, e dell'opera che realizzerà. E questo vale sia quando la dittatura è nelle mani di un uomo, sia quando è nelle mani di un gruppo.
Vi sono circostanze che esigono, per la salus populi, una sospensione provvisoria di tutti i diritti
individuali, e l'esercizio più ampio del potere pubblico. Perciò la dittatura può, in certi casi, essere legittima.
Una dittatura contro-rivoluzionaria e, quindi, completamente orientata dal desiderio dell'Ordine, deve presentare tre requisiti essenziali:
1) Deve sospendere i diritti, non per sovvertire l'Ordine, ma per proteggerlo. E per Ordine non
intendiamo soltanto la tranquillità materiale, ma la disposizione delle cose secondo il loro fine, e secondo la rispettiva scala di valori. Si tratta, quindi, di una sospensione di diritti più apparente che reale, del sacrificio delle garanzie giuridiche di cui i cattivi elementi abusavano a detrimento dell'ordine stesso e del bene comune, sacrificio in questo caso tutto volto alla protezione dei veri diritti dei buoni.
2) Per definizione, questa sospensione deve essere provvisoria, e deve preparare le condizioni
perché, il più rapidamente possibile, si ritorni all'ordine e alla normalità. La dittatura, nella misura in cui è buona, si adopera a far cessare la sua stessa ragione d'essere. L'intervento del potere pubblico nei diversi settori della vita nazionale, deve essere fatto in modo che, nel più breve tempo possibile, ogni settore possa vivere con la necessaria autonomia. Così, ogni famiglia deve poter fare tutto ciò di cui per sua natura è capace, aiutata solo sussidiariamente da gruppi sociali superiori in ciò che oltrepassa il suo ambito. Questi gruppi, a loro volta, devono ricevere l'aiuto del municipio solo in ciò che supera la loro capacità normale, e così pure deve essere nelle relazioni tra il municipio e la regione, e tra questa e il paese.
Il fine essenziale della dittatura legittima, oggi, deve essere la Contro-Rivoluzione. Questo, peraltro, non implica l'affermazione che la dittatura sia normalmente un mezzo necessario per la sconfitta della Rivoluzione. Ma in certe situazioni lo può essere.
Al contrario, la dittatura rivoluzionaria tende a perpetuarsi, viola i diritti autentici e penetra in tutte le sfere della società per annientarle, disarticolando la vita della famiglia, nuocendo alle élites naturali, sovvertendo la gerarchia sociale, nutrendo la moltitudine di utopie e di aspirazioni disordinate, estinguendo la vita reale dei gruppi sociali e assoggettando tutto allo Stato: in una parola, favorisce l'opera della Rivoluzione. Esempio tipico di tale dittatura è stato l'hitlerismo.
Perciò, la dittatura rivoluzionaria è fondamentalmente anticattolica. Infatti, in un ambiente veramente cattolico non può esservi un clima propizio a una tale situazione.
Questo non vuol dire che la dittatura rivoluzionaria, in questo o in quel paese, non abbia cercato di favorire la Chiesa. Ma si tratta di un atteggiamento puramente tattico, che si trasforma in persecuzione aperta o velata, appena l'autorità ecclesiastica comincia a sbarrare il passo alla Rivoluzione.
Capitolo IV
Le metamorfosi del processo rivoluzionario
Come si deduce dall'analisi fatta nel capitolo precedente, il processo rivoluzionario è lo sviluppo, per tappe, di alcune tendenze sregolate dell'uomo occidentale e cristiano, e degli errori nati da esse.
In ogni tappa, queste tendenze ed errori hanno un aspetto particolare. La Rivoluzione subisce, dunque, continue metamorfosi nel corso della storia.
Le stesse metamorfosi che si osservano nelle grandi linee generali della Rivoluzione si ripetono, in scala ridotta, all'interno di ogni suo grande episodio.
Così, lo spirito della Rivoluzione francese, nella sua prima fase, usò maschera e linguaggio aristocratici e perfino ecclesiastici. Frequentò la corte e sedette alla tavola del Consiglio del re.
Poi divenne borghese e lavorò all'estinzione incruenta della monarchia e della nobiltà, e a una velata e pacifica soppressione della Chiesa cattolica.
Appena gli fu possibile, diventò giacobino, e si ubriacò di sangue durante il Terrore.
Ma gli eccessi a cui si abbandonò la fazione giacobina suscitarono reazioni. Lo spirito rivoluzionario tornò indietro, percorrendo le stesse tappe. Da giacobino si trasformò in borghese durante il Direttorio, con Napoleone tese la mano alla Chiesa e aprì le porte alla nobiltà esiliata, e, infine, applaudì il ritorno dei Borboni. Terminata la Rivoluzione francese, non termina con ciò il processo rivoluzionario. Eccolo tornare a esplodere con la caduta di Carlo X e l'ascesa al trono di Luigi Filippo, e così, con successive metamorfosi, sfruttando i suoi successi e anche i suoi insuccessi, è giunto fino al parossismo dei nostri giorni.
La Rivoluzione, quindi, si serve delle sue metamorfosi non solo per avanzare, ma anche per operare quelle ritirate tattiche che così frequentemente le sono state necessarie.
Talora, pur essendo un movimento sempre vivo, ha simulato di essere morta. E questa è una delle sue metamorfosi più interessanti. In apparenza, la situazione di un determinato paese si presenta come assolutamente tranquilla. La reazione contro-rivoluzionaria si rilassa e si addormenta. Ma nelle profondità della vita religiosa, culturale, sociale ed economica, la fermentazione rivoluzionaria continua a guadagnare terreno. E, al termine di questo apparente intervallo, esplode una convulsione inaspettata, spesso maggiore di quelle precedenti.
Capitolo V
Le tre profondità della Rivoluzione: nelle tendenze, nelle idee, nei fatti
1. La Rivoluzione nelle tendenze
Come abbiamo visto, la Rivoluzione è un processo fatto di tappe, e ha la sua origine prima in determinate tendenze disordinate che ne costituiscono l'anima e la forza di propulsione più intima (vedi parte I, cap. VII, 3).
Così, possiamo anche distinguere nella Rivoluzione tre profondità, che cronologicamente fino a un certo punto si compenetrano.
La prima, cioè la più profonda, consiste in una crisi delle tendenze. Queste tendenze disordinate, che per loro propria natura lottano per realizzarsi, non conformandosi più a tutto un ordine di cose che è a esse contrario, cominciano a modificare le mentalità, i modi di essere, le espressioni artistiche e i costumi, senza incidere subito in modo diretto -- almeno abitualmente -- sulle idee.
2. La Rivoluzione nelle idee
Da questi strati profondi, la crisi passa al terreno ideologico. Infatti -- come ha posto in evidenza Paul Bourget nella sua celebre opera Le démon du midi -- "bisogna vivere come si pensa, se no, prima o poi, si finisce col pensare come si è vissuto" (7). Così, ispirate dalla sregolatezza delle tendenze profonde, spuntano dottrine nuove. Esse cercano talora, all'inizio, un modus vivendi con quelle antiche, e si esprimono in modo da mantenere con queste una parvenza di armonia, che normalmente non tarda a sfociare in lotta dichiarata.
3. La Rivoluzione nei fatti
Questa trasformazione delle idee si estende, a sua volta, al terreno dei fatti, da cui passa a operare, con mezzi cruenti o incruenti, la trasformazione delle istituzioni, delle leggi e dei costumi, tanto nelle sfera religiosa quanto nella società temporale. È una terza crisi, ormai completamente nell'ordine dei fatti.
4. Osservazioni diverse
A. Le profondità della Rivoluzione non si identificano con tappe cronologiche
Queste profondità sono, in qualche modo, scaglionate. Ma una analisi attenta mette in evidenza che le operazioni compiute in esse dalla Rivoluzione si compenetrano a tale punto nel tempo, che queste diverse profondità non possono essere viste come altrettante unità cronologicamente distinte.
B. Chiarezza delle tre profondità della Rivoluzione
Queste tre profondità non si differenziano sempre nitidamente le une dalle altre. Il grado di
chiarezza varia molto da un caso concreto all'altro.
C. Il processo rivoluzionario non è incoercibile
Il cammino di un popolo attraverso queste diverse profondità non è incoercibile, al punto che, fatto il primo passo, debba giungere necessariamente fino all'ultimo, e scivoli alla profondità seguente.
Al contrario, il libero arbitrio umano, coadiuvato dalla grazia, può vincere qualsiasi crisi, e così può arrestare e vincere la Rivoluzione stessa.
Descrivendo questi aspetti, facciamo come un medico che descrive l'evoluzione completa di una malattia fino alla morte, senza con questo pretendere che la malattia sia incurabile.
Capitolo VI
La marcia della Rivoluzione
Le considerazioni precedenti ci hanno ormai fornito alcuni dati sulla marcia della Rivoluzione, cioè il suo carattere di processo, le metamorfosi attraverso cui passa, la sua irruzione nel più profondo dell'uomo, e la sua esteriorizzazione in azioni. Come si vede, vi è tutta una dinamica propria della Rivoluzione. Di questo fatto possiamo farci un'idea migliore studiando anche altri aspetti della marcia della Rivoluzione.
1. La forza propulsiva della Rivoluzione
A. La Rivoluzione e le tendenze disordinate
La più potente forza propulsiva della Rivoluzione consiste nelle tendenze disordinate. E per questo la Rivoluzione è stata paragonata a un tifone, a un terremoto, a un ciclone; infatti le forze naturali scatenate sono immagini materiali delle passioni sfrenate dell'uomo.
B. I parossismi della Rivoluzione sono interamente contenuti nei suoi germi
Come i cataclismi, le cattive passioni hanno una forza immensa, ma volta alla distruzione. Questa forza ha già in potenza, fin dal primo momento delle sue grandi esplosioni, tutta la virulenza che si manifesterà più tardi nei suoi peggiori eccessi. Nelle prime negazioni del protestantesimo, per esempio, erano già impliciti gli aneliti anarchici del comunismo. Se, dal punto di vista della formulazione esplicita, Lutero era soltanto Lutero, tutte le tendenze, tutto lo stato d'animo, tutti gli elementi imponderabili dell'esplosione luterana portavano già in sé, in modo autentico e pieno, sebbene implicito, lo spirito di Voltaire e di Robespierre, di Marx e di Lenin (8).
C. La Rivoluzione esaspera le sue stesse cause
Queste tendenze disordinate si sviluppano come i pruriti e i vizi, cioè, nella stessa misura in cui
vengono soddisfatte, crescono d'intensità. Le tendenze producono crisi morali, dottrine erronee, e quindi rivoluzioni. Le une e le altre, a loro volta, esacerbano le tendenze. Queste ultime portano in seguito, e con un movimento analogo, a nuove crisi, nuovi errori, nuove rivoluzioni. Questo spiega perché ci troviamo oggi in un simile parossismo di empietà e di immoralità, e anche in un tale abisso di disordini e di discordie.
2. Gli apparenti intervalli della Rivoluzione
Considerando l'esistenza di periodi caratterizzati da una notevole calma, si direbbe che in essi la Rivoluzione è cessata. Così può sembrare che il processo rivoluzionario sia discontinuo, e perciò che non sia uno.
Ora, queste bonacce sono semplici metamorfosi della Rivoluzione. I periodi di apparente tranquillità, supposti intervalli, sono stati generalmente tempi di fermentazione rivoluzionaria sorda e profonda. Si consideri il periodo della Restaurazione (1815-1830) -- (vedi parte I, cap. IV).
3. La marcia di eccesso in eccesso
Con quanto abbiamo visto (vedi n. 1, C di questo cap.), si spiega come ogni tappa della Rivoluzione, se paragonata a quella precedente, ne sia soltanto il compimento o l'esasperazione fino alle estreme conseguenze. L'Umanesimo naturalista e il protestantesimo si sono compiuti e sono giunti alle loro estreme conseguenze nella Rivoluzione francese, e questa, a sua volta, si è compiuta ed è giunta alle sue estreme conseguenze nel grande processo rivoluzionario di bolscevizzazione nel mondo contemporaneo.
Infatti le passioni disordinate hanno un crescendo analogo a quello prodotto dall'accelerazione per la legge di gravità, si nutrono delle loro stesse opere, e quindi producono conseguenze che, a loro volta, si sviluppano secondo una intensità proporzionale. E nella stessa progressione gli errori generano errori, e le rivoluzioni aprono la strada le une alle altre.
4. Le velocità della Rivoluzione
Questo processo rivoluzionario si manifesta con due diverse velocità. L'una, rapida, è generalmente destinata al fallimento sul piano immediato. L'altra è stata abitualmente coronata da successo, ed è molto più lenta.
A. L'alta velocità
I movimenti pre-comunisti degli anabattisti, per esempio, trassero immediatamente, in diversi
campi, tutte o quasi tutte le conseguenze dello spirito e delle tendenze della Pseudo-Riforma. Fallirono.
B. La marcia lenta
Lentamente, nel corso di più di quattro secoli, le correnti più moderate del protestantesimo, avanzando di eccesso in eccesso, per tappe successive di dinamismo e di inerzia, vanno tuttavia favorendo gradatamente, in un modo o nell'altro, la marcia dell'Occidente verso lo stesso punto estremo (vedi parte II, cap. VIII, 2).
C. Come si armonizzano queste velocità
È necessario studiare la parte di ciascuna di queste velocità nella marcia della Rivoluzione. Si direbbe che i movimenti più veloci siano inutili. Ma non è vero. L'esplosione di questi estremismi alza una bandiera, crea un punto di attrazione fisso che affascina per il suo stesso radicalismo i moderati, e verso cui questi cominciano lentamente a incamminarsi. Così, il socialismo respinge il comunismo, ma lo ammira in silenzio e tende a esso. Ancora prima nel tempo si potrebbe dire lo stesso a proposito del comunista Babeuf e dei suoi seguaci negli ultimi bagliori della Rivoluzione francese. Furono schiacciati. Ma lentamente la società sta percorrendo la via sulla quale essi avevano voluto portarla. Il fallimento degli estremisti è, dunque, soltanto apparente. Essi danno il loro contributo indirettamente, ma potentemente, alla Rivoluzione, attirando lentamente verso la realizzazione dei loro colpevoli ed esasperati vaneggiamenti la moltitudine innumerevole dei "prudenti", dei "moderati" e dei mediocri.
5. Confutazione di obiezioni
Tenendo presenti queste nozioni, si offre l'occasione per confutare alcune obiezioni che, in precedenza, non avrebbero potuto essere adeguatamente analizzate.
A. Rivoluzionari di piccola velocità e "semi-contro-rivoluzionari"
Ciò che distingue il rivoluzionario che ha seguito il ritmo della marcia rapida, da chi sta a poco a poco diventando tale secondo il ritmo della marcia lenta, è il fatto che, quando il processo rivoluzionario ha avuto inizio nel primo, ha incontrato resistenze nulle o quasi nulle. La virtù e la verità vivevano in quell'anima una vita di superficie. Erano come legna secca, che qualsiasi scintilla può incendiare. Al contrario, quando questo processo avviene lentamente, ciò accade perché la scintilla della Rivoluzione ha trovato, almeno in parte, legna verde. In altri termini, ha trovato molta verità o molta virtù che si mantengono avverse all'azione dello spirito rivoluzionario. Un'anima in simile situazione si trova divisa in se stessa, e vive di due princìpi opposti, quello della Rivoluzione e quello dell'Ordine.
Dalla coesistenza di questi due princìpi, possono sorgere situazioni molto diverse:
a) Il rivoluzionario di piccola velocità: si lascia trascinare dalla Rivoluzione, alla quale oppone soltanto la resistenza dell'inerzia.
b) Il rivoluzionario di velocità lenta, ma con "coaguli" contro-rivoluzionari: anch'egli si lascia trascinare dalla Rivoluzione. Ma su qualche punto concreto la respinge. Così, per esempio, sarà
socialista in tutto, ma conserverà il gusto dei modi aristocratici. In qualche caso, giungerà anche ad attaccare la volgarità socialista. Si tratta di una resistenza, senza dubbio. Ma di una resistenza su di un punto particolare, che non risale ai princìpi, poiché e fatta tutta di abitudini e di impressioni.
Resistenza, proprio per questo, senza grande fondamento, che morirà con l'individuo, e che, nel caso si dia in un gruppo sociale, presto o tardi, con la violenza o con la persuasione, in una o più generazioni, la Rivoluzione nel suo corso inesorabile smantellerà.
c) Il "semi-contro-rivoluzionario" (vedi parte I, cap. IX): si distingue dal precedente solo perché in lui il processo di "coagulo" è stato più vigoroso, ed è risalito fino alla zona dei princìpi
fondamentali. Di qualche principio, sia ben chiaro, e non di tutti. In lui la reazione contro la Rivoluzione è più ostinata, più vivace. Essa costituisce un ostacolo che non è soltanto di inerzia. La sua conversione a una posizione completamente contro-rivoluzionaria è più facile, almeno in tesi.
Un qualsiasi eccesso della Rivoluzione può determinare in lui una trasformazione completa, una
cristallizzazione di tutte le tendenze buone, in un atteggiamento di fermezza incrollabile. Finché questa felice trasformazione non è avvenuta, il "semi-contro-rivoluzionario" non può essere considerato un soldato della Contro-Rivoluzione.
Il conformismo del rivoluzionario di marcia lenta, e del "semi-contro-rivoluzionario", è caratterizzato dalla facilità con cui entrambi accettano le conquiste della Rivoluzione. Per esempio, pur affermando la tesi dell'unione della Chiesa e dello Stato, vivono con indifferenza nel regime dell'ipotesi, cioè della separazione, senza tentare nessuno sforzo serio perché diventi possibile un giorno restaurare in condizioni convenienti l'unione.
B. Monarchie protestanti. Repubbliche cattoliche
Un'obiezione che si potrebbe fare alle nostre tesi consisterebbe nel dire che, se il movimento repubblicano universale è il frutto dello spirito protestante, non si comprende come mai nel mondo vi sia attualmente soltanto un re cattolico, e tanti paesi protestanti si mantengano monarchici.
La spiegazione è semplice. L'Inghilterra, l'Olanda e le nazioni nordiche, per tutta una serie di ragioni storiche, psicologiche, ecc., hanno molti motivi di attaccamento alla monarchia. Penetrando in esse, la Rivoluzione non ha potuto evitare che il sentimento monarchico "coagulasse". Così, la monarchia continua a sopravvivere ostinatamente in questi paesi, nonostante che in essi la Rivoluzione stia penetrando sempre più a fondo in altri campi. "Sopravvive"... ma nella misura in cui il morire a poco a poco si può chiamare sopravvivere. Infatti la monarchia inglese, ridotta in larghissima misura a una parte di rappresentanza, e le altre monarchie protestanti, trasformate a quasi tutti gli effetti in repubbliche nelle quali la carica suprema è vitalizia ed ereditaria, stanno soavemente agonizzando, e, se le cose continuano così, si estingueranno senza rumore.
Senza negare l'esistenza di altre cause che contribuiscono a questa sopravvivenza, vogliamo però mettere in evidenza il fattore -- per altro molto importante -- che si situa nell'ambito della nostra esposizione.
Al contrario, nelle nazioni latine, l'amore per una disciplina esterna e visibile, per un potere pubblico forte e carico di prestigio, è -- per molte ragioni -- assai minore.
La Rivoluzione non ha trovato in esse, quindi, un sentimento monarchico così radicato. Ha abbattuto facilmente i troni. Ma fino a ora non ha avuto la forza sufficiente per spazzare via la religione.
C. L'austerità protestante
Un'altra obiezione al nostro studio potrebbe derivare dal fatto che alcune sette protestanti sono di un'austerità che tocca i limiti della esagerazione. Come è possibile allora spiegare tutto il protestantesimo come un'esplosione del desiderio di godere la vita?
Anche a questa obiezione non è difficile rispondere. Penetrando in certi ambienti, la Rivoluzione ha trovato un amore all'austerità molto vivo. Così, si è formato un "coagulo". E, benché in questi ambienti essa abbia mietuto ogni successo in materia di orgoglio, non ha ottenuto in materia di sensualità successi simili. In tali ambienti, si gode la vita attraverso i discreti diletti dell'orgoglio, e non attraverso i grossolani piaceri della carne. Può infine darsi che l'austerità, cullata dall'orgoglio esasperato, abbia reagito esageratamente contro la sensualità. Ma questa reazione, per quanto ostinata sia, è sterile: presto o tardi, per estenuazione o con la violenza, sarà stroncata dalla Rivoluzione. Infatti il soffio di vita che rigenererà la terra non può venire da un puritanesimo rigido, freddo, mummificato.
D. Il fronte unico della Rivoluzione
Questi "coaguli" e cristallizzazioni portano abitualmente allo scontro tra le forze della Rivoluzione. Osservando questo fatto, si direbbe che le potenze del male sono divise contro se stesse, e che è falsa la nostra concezione unitaria del processo rivoluzionario. Illusione. Queste forze, per un istinto profondo, che mostra che sono in armonia nei loro elementi essenziali, e in contrasto soltanto in quelli accidentali, hanno una sorprendente capacità di unirsi contro la Chiesa cattolica, tutte le volte che si trovano di fronte ad essa.
Sterili negli elementi buoni che restano in esse, le forze rivoluzionarie sono realmente efficienti
soltanto per il male. E così, ciascuna di esse attacca dal proprio lato la Chiesa, che si presenta come una città assediata da un esercito immenso.
Fra le forze della Rivoluzione, non bisogna omettere i cattolici che professano la dottrina della Chiesa ma sono dominati dallo spirito rivoluzionario. Mille volte più pericolosi dei nemici dichiarati, combattono la Città Santa dentro le sue stesse mura, e meritano certamente ciò che di loro ha detto Pio IX:
"Ma, sebbene i figli del secolo sieno più astuti dei figli della luce, le loro frodi però e la loro violenza riescirebbero meno nocive, se molti, che diconsi cattolici di nome, non stendessero loro amica la mano. Poiché non mancano di quelli che, quasi per andar di conserva con essi, si sforzano di stringere società tra la luce e le tenebre, e comunanza tra la giustizia e l'iniquità per mezzo di dottrine che dicono cattolico-liberali, che, basate su perniciosissimi principii, blandiscono alla laica podestà che invade le cose spirituali, e spingono gli animi ad ossequio o almeno a tolleranza d'iniquissime leggi, come se non fosse scritto: niuno può servire a due padroni. Questi sono molto più pericolosi e più fatali degli aperti nemici, sia perché inosservati, e forse anche senza che se ne accorgano, assecondano gli sforzi loro, sia perché limitandosi fra certi confini di riprovate opinioni, presentano un'apparenza di probità e di intemerata dottrina, la quale affascina gl'imprudenti amatori della conciliazione, e trae in inganno gli onesti, i quali si opporrebbero all'errore aperto; e così dividono gli animi, squarciano l'unità, e fiaccano quelle forze, che insieme unite si dovrebbero opporre agli avversarii" (9).
6. Gli agenti della Rivoluzione: la Massoneria e le altre forze segrete
Dal momento che stiamo studiando le forze propulsive della Rivoluzione, è opportuno dire una parola sui suoi agenti. Non crediamo che il semplice dinamismo delle passioni e degli errori degli uomini possa unire mezzi così diversi, per il raggiungimento di un unico fine, cioè la vittoria della Rivoluzione.
Produrre un processo così coerente, così continuo, come quello della Rivoluzione, attraverso le mille vicissitudini di secoli interi, pieni di imprevisti di ogni specie, ci sembra impossibile senza l'azione di successive generazioni di cospiratori dotati di una intelligenza e di una potenza straordinarie. Pensare che la Rivoluzione sarebbe giunta allo stato in cui si trova senza tale azione, equivale ad ammettere che centinaia di lettere dell'alfabeto gettate da una finestra possano disporsi spontaneamente al suolo, in modo da formare un'opera qualsiasi, per esempio il Inno a Satana di Carducci.
Le forze propulsive della Rivoluzione sono state manovrate fino a oggi da agenti astutissimi, che se ne sono serviti come di mezzi per realizzare il processo rivoluzionario.
In modo generale, si possono qualificare agenti della Rivoluzione tutte le sette, di qualunque natura, da essa generate, dalla sua nascita fino a oggi, per la diffusione del pensiero o per l'articolazione delle trame rivoluzionarie. Però, la setta madre, attorno alla quale si articolano tutte le altre come semplici forze ausiliarie -- talora consapevolmente, tal'altra inconsapevolmente -- è la massoneria, come si rileva chiaramente dai documenti pontifici e specialmente dall'enciclica Humanum genus di Leone XIII, del 20 aprile 1884 (10).
Il successo che fino a ora hanno ottenuto questi cospiratori, e specialmente la massoneria, è dovuto non solo al fatto di possedere una incontestabile capacità di organizzarsi e di cospirare, ma anche alla loro lucida conoscenza di ciò che costituisce l'essenza profonda della Rivoluzione, e del modo di utilizzare le leggi naturali -- parliamo di quelle della politica, della sociologia, della psicologia, dell'arte, dell'economia, ecc. -- per far procedere la realizzazione dei loro piani. In questo senso gli agenti del caos e della sovversione fanno come lo scienziato che, invece di agire con le sue sole forze, studia e mette in azione quelle, mille volte più potenti, della natura. Questo fatto, oltre a spiegare in gran parte il successo della Rivoluzione, costituisce una indicazione importante per i soldati della Contro-Rivoluzione.
Note ______________________
(1) Pio XII, Discorso Nel contemplare agli Uomini di Azione Cattolica d'Italia, del 12-10-1952, in
Discorsi e Radiomessaggi, vol. XIV, p. 359.
(2) Cfr. Saint-Beuve, Études des lundis, XVIIème siècle. Saint François de Sales, Librairie Garnier,
Parigi 1928, p. 364.
(3) Leone XIII, Enciclica Au Milieu des sollicitudes, del 16-2-1892, in ASS, vol. XXIV, p. 523.
(4) San Pio X, Lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25-8-1910, in ASS, vol. II, p. 618.
(5) Pio VI, Allocuzione al Concistoro Segreto del 17-6-1793 sulla morte del re di Francia, in Pii VI
Pont. Max. Acta ,Typis S. Congreg. de Propaganda Fide, Romae, 1871, tomo II, p. 17.
(6) Pio XII, Allocuzione al Patriziato e alla Nobiltà Romana, del 16-1-1946, in Discorsi e Radiomessaggi, vol. VII, p. 340.
(7) Paul Bourget, Le Démon du Midi, Librairie Plon, Parigi 1914, vol. II, p. 375 (trad. it., Il demone
meridiano, Salani Editore, Firenze 1956, p. 395).
(8) Cfr. Leone XIII, Enciclica Quod Apostolici muneris, del 28-12-1878, in ASS, vol. XI, p. 370.
(9) Pio IX, Lettera al presidente e ai membri del Circolo Sant'Ambrogio di Milano, del 6-3-1873, in
La Civiltà Cattolica, Roma 1873, serie VIII, vol. X, fasc. 547, pp. 99-100.
(10) Cfr. Leone XIII, Enciclica Humanum genus, del 20-4-1884, in ASS, vol. XVI, pp. 417-433.
Sintesi di Florian
Plinio Corrêa de Oliveira
Rivoluzione e Contro-Rivoluzione
Luci sull’Est
Titolo originale dell’opera:
Revolução e Contra-Revolução
Pubblicato su Catolicismo, San Paolo, Brasile
Aprile 1959 (Parti I e II), e Gennaio 1977 (Parte III)
Traduzione di Giovanni Cantoni
Prima edizione italiana, 1963, Dell’Albero, Torino
Seconda e terza edizioni italiane, 1972 e 1976
Cristianità, Piacenza
Tutti i diritti riservati
© 1998 Associazione Luci sull’Est
Via Castellini, 13/7
00197 ROMA
Bellissimo! Partendo da questo post ho cercato su google "Plinio Correa de Oliveira" e ho trovato il sito www.pliniocorreadeoliveira.it : lo consiglio a tutti quanti, troverete una miniera di testi interessantissimi!!
RispondiEliminaGrazie ancora per il bel post!
Grazie ma non è merito nostro. Ci siamo solo limitati a riproporre il buon lavoro di altri.
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